venerdì 28 febbraio 2025
La premier preoccupata: Occidente non si divida. Von der Leyen: Zelensky non è solo. Tajani predica «prudenza». E ora il Salvini “trumpiano” è un nodo anche per la Lega
I due leggii vuoti della conferenza stampa alla Casa Bianca

I due leggii vuoti della conferenza stampa alla Casa Bianca - Ansa

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Nessuno finge indifferenza. Lo choc è palpabile. La premier Giorgia Meloni lo esprime dapprima con un silenzio che le appare la scelta più saggia e responsabile di fronte al drammatico vertice Trump-Zelensky. Poi con una nota che arriva a tarda sera, quando il peso di quello stesso silenzio diventa troppo pesante. Le sue parole sono un tentativo di rilanciare il dialogo, tenendo fede al sostegno a Kiev e senza strappi con Washington: «Ogni divisione dell’Occidente - dice la premier - ci rende tutti più deboli e favorisce chi vorrebbe vedere il declino della nostra civiltà. Non del suo potere o della sua influenza, ma dei principi che l'hanno fondata, primo fra tutti la libertà. Una divisione non converrebbe a nessuno. È necessario un immediato vertice tra Stati Uniti, Stati europei e alleati per parlare in modo franco di come intendiamo affrontare le grandi sfide di oggi, a partire dall’Ucraina, che insieme abbiamo difeso in questi anni, e di quelle che saremo chiamati ad affrontare in futuro. È la proposta che l'Italia intende fare ai suoi partner nelle prossime ore».

L'iniziale consegna del silenzio prevedeva una sola deroga, quella per il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. «Prudenza», predica il vicepremier e segretario di Forza Italia. E realismo: la pace, dice Tajani alla luce di quanto accaduto a Washington, non ha i tempi brevi agognati da Trump. A maggior ragione dopo quanto accaduto, che in qualche modo obbligherà l’Ue e la Gran Bretagna ad assumere con più nettezza le difese di Kiev. Ma guai ad agire d’istinto e ad aprire un fronte con gli Usa: spesso, spiega il titolare della Farnesina, Trump «dice una cosa per ottenerne altre». È un pensiero e un auspicio che rappresenta anche Meloni. Mentre distante e distinto dalla posizione ufficiale del Governo resta l’altro vicepremier Matteo Salvini, che appare compiaciuto di come il presidente Usa abbia strapazzato Volodymir Zelensky: «Forza Trump», grida sui social il capo della Lega.

La tripartizione della posizione del governo rende vano anche il colloquio che la premier ha avuto con i suoi due vice a margine del Cdm e alla vigilia del vertice di Londra di domani. La linea espressa da Meloni ai suoi alleati è quella ribadita dal sottosegretario a Palazzo Chigi Giovanbattista Fazzolari: la soluzione non è l’invio di truppe europee - caldeggiato dal britannico Starmer e dal francese Macron - ma l’estensione delle garanzie dell’articolo 5 della Nato all’Ucraina, «senza farla entrare» nell’Alleanza. Porre «con forza» a Londra questo tema, dice Fazzolari, «sarebbe un modo per scoprire il bluff russo sulla questione delle garanzie ucraine».

Tornando all’effetto devastante dello scontro in mondovisione tra Trump e Zelensky, il sottinteso di Tajani è chiaro: è un momento di «tensione», ma bisogna evitare in ogni modo di dire parole istintive, fuori posto, che rompano i ponti di Trump. D’altra parte anche Macron e Starmer, di rientro dalle loro rispettive missioni a Washington, hanno evitato di troncare con la nuova amministrazione Usa. Il presidente francese ovviamente reagisce alle immagini che arrivano da Washington. «C’è un aggressore russo, bisogna rispettare chi lo combatte dall’inizio», dice Macron. Che tra l’altro ha un colloquio con Zelensky subito dopo l’agguato di Washington. Anche il segretario generale della Nato, l’olandese Mark Rutte, sente il presidente ucraino. Alla spicciolata le capitali europee si rendono presenti. Lo spagnolo Pedro Sanchez e il polacco Donald Tusk confermano il sostegno a Kiev. Mentre il britannico Keir Starmer il suo segnale l’ha dato da giorni, invitando Zelensky al vertice di domani a Londra con altri 18 Paesi, quelli dell’Europa continentale, Italia compresa (e Meloni ha già confermato la presenza). L’altro segnale di Starmer a Kiev ricalca quello compiuto da Macron pochi giorni fa: bloccare con fermezza Trump mentre parlava con numeri discutibili dell’aiuto europeo all’Ucraina.

Le istituzioni Ue arrivano buone ultime, con Ursula von der Leyen che a sera inoltrata elogia il presidente ucraino: «La tua dignità onora il coraggio del popolo ucraino. Non sei mai solo, continueremo a lavorare con te per una pace giusta e duratura». Ma nessuna rottura, ora, con Washington. Ben prima di VdL, un ex esponente del governo europeo, Paolo Gentiloni, aveva battuto un colpo: «Ha tenuto testa alle armi di Putin e ora Zelensky viene aggredito in una diretta Tv allestita alla Casa Bianca. Amo gli Usa, ma oggi mi vergogno». Bruxelles in affanno, dunque, tra Kiev, minacce di dazi e pressing per un riarmo che, ormai lo si è capito, ci sarà. Anche in Italia, e sino al 2,5% del Pil. Scelte difficili, che il Governo di Roma deve affrontare con il crescente nodo-Salvini. La costante esibizione di trumpismo non fa bene alla postura italiana. E ora il problema è avvertito anche nella Lega. È un caso il “retroscena” sul capogruppo del Carroccio alla Camera Riccardo Molinari, che contesta la «politica estera» del suo capopartito. Dopo si corregge, pur senza smentire del tutto. Il disagio c’è. Le opposizioni - con il distinguo del M5s - lo capiscono e pressano la premier a uscire allo scoperto. «Meloni scelga: o con Trump o con la democrazia e l’Europa», affonda Elly Schlein. E si affaccia un’idea: una manifestazione per Kiev, sovrapponibile a quella per l’Europa. Il sasso lo lancia D’Alema. È un modo per stanare Meloni, certo, ma anche la segretaria dem.

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