L'unico sopravvissuto eritreo della Strage di Ferragosto
Il ragazzo eritreo è riuscito a salvare dalle fiamme il documento con cui era stato registrato in Libia presso l’agenzia Onu per i rifugiati. Con quello in tasca sperava di ottenere in Europa la protezione che il diritto internazionale prevede per chi come lui fugge da violenze e persecuzioni. Alla partenza erano in 85, sono vivi in 40. Vivi ma non "salvi". Hanno i corpi coperti di ustioni curate con qualche fasciatura e nessun medico. Questa volta però a Zuara è accaduto qualcosa di inedito.
Quando sono stati riportati a terra da alcuni pescatori, la polizia voleva riconsegnarlo insieme agli altri superstiti al centro di detenzione di Zuara. Ma qui è accaduto quello che nessuno si aspettava. Il direttore della prigione per migranti si è rifiutato di imprigionarli. Coperti da ustioni, alcuni in ipotermia, altri con i sintomi tipici di chi è sopravvissuto all’annegamento, tutti sotto choc per quello che avevano subito e per i loro amici e familiari, in 45 non più riemersi dagli abissi, meritavano cure altrove, non in una prigione.
Non sappiamo se si sia trattata della protesta solitaria di un funzionario libico stanco di assistere alle violazioni dei diritti umani, o della decisione di un esponente delle milizie (le prigioni sono affidate a rappresentanti delle varie milizie) che si danno battaglia nel traffico degli esseri umani. Di certo la vicenda mostra ancora una volta l’inadeguatezza della gestione dei migranti in Libia da parte delle stesse autorità. Ad attaccare i migranti erano stati dei banditi a cui adesso la polizia di Zuara starebbe dando la caccia. I feriti sono stati lasciati liberi, ma senza cure. Solo l'aiuto di qualche conoscente e di qualche agenzia umanitaria ha permesso quantomeno di effettuare i bendaggi. In una prigione del Ministero dell'Interno sono invece stati portati quelli in condizione di salute migliori.
“Non abbiamo ancora visto dei medici”, ha raccontato a Internazionale uno dei sopravvissuti. “Una volta ritornati a Zuara quelli che avevano ferite ed erano malati sono stati lasciati andare via dalle autorità libiche, mentre i sani - riporta Annalisa Camilli - sono stati rinchiusi nel centro di detenzione”.
Intanto le navi umanitarie si preparano a tornare nell’area di ricerca e soccorso. Il veliero Astral di Open Arms è salpato nei giorni scorsi e si dirige nel Mediterraneo centrale per una missione di osservazione e raccolta di notizie. La presenza in mare di milizie libiche che compiono azioni di vera pirateria sono oramai all’ordine del giorno. Complice la pressoché totale assenza di navi militari.
La piattaforma umanitaria italiana Mediterranea sta ultimando i preparativi per tornare in acqua con la “Mare Jonio”, mentre a sud di Lampedusa già si trova la “Sea Watch 4”.
"Sono giorni tragici nel Mediterraneo centrale, gli ennesimi di una strage senza fine", sottolinea in una nota Mediterranea Saving Humans. Dall'Oim, l'agenzia dell'Onu per le Migrazioni, e da fonti giornalistiche “arrivano notizie di almeno tre naufragi negli ultimi cinque giorni e di un bilancio che sfiora i 200 morti tra uomini donne e bambini in fuga dalla Libia”. Si parla di miliziani che sparano addosso ai gommoni dei naufraghi e di natanti lasciati in mare per giorni dalle autorità europee prima del naufragio: “Una situazione di drammatica disumanità”.
L’organizzazione si dice consapevole “che la Civil Fleet, cioè la flotta della società civile europea, può solo dare un aiuto parziale in una situazione di grande emergenza, su cui dovrebbero invece intervenire i governi europei organizzando corridoi umanitari per l'immediata evacuazione delle persone dalla Libia e riportando nel Mediterraneo centrale in missione di soccorso le navi delle guardie costiere e delle marine militari europee”.
Alla data del 20 agosto, 7.122 rifugiati e migranti sono stati registrati come intercettati in mare e sbarcati in Libia. Il 19 agosto, 74 persone, principalmente dal Gambia e dal Camerun, sono state riportate alla base navale di Tripoli. La scorsa settimana, Unhcr ha registrato 193 rifugiati e richiedenti asilo principalmente dal Sudan (156) ma anche da Siria (14), Eritrea (10), Somalia (4), Yemen (4), Etiopia (2), Iraq (2) e Sud Sudan (1). Attualmente, si stima che 2.267 rifugiati e migranti siano trattenuti nei campi di prigionia in Libia.