Alessandra Cappellotto con Sahra e alcune delle atlete intercettate grazie all’attività della Onlus. Due di loro quest’anno hanno partecipato al campionato del mondo - Collaboratori
Alessandra è diretta, dice le cose senza girarci intorno, se ha un obiettivo va dritta per la sua strada. È stata la prima italiana campionessa del mondo nel ciclismo su strada, nel 1997. Sahra (nome di fantasia) è una ragazza afghana che insegue il suo sogno: diventare la più veloce ciclista del mondo. Alessandra Cappellotto, chiusa la carriera agonistica, ha fondato nel 2016 la sezione femminile dell’Organizzazione mondiale dei corridori professionisti (Cpa Women), che prima non esisteva. Ha conosciuto le atlete dei Paesi in via di sviluppo, e ha capito che bisognava occuparsi anche di istruzione e corsi professionali, non solo di ciclismo e bisognava farlo in quei posti. Così ha fondato l’associazione 'Road to equality', insieme ad Anita Zanatta.
Alessandra Cappellotto, numero uno mondiale nel ciclismo su strada nel 1997, si occupa con la sua associazione di aspiranti atlete che vivono in teatri di guerra: hanno cominciato col Ruanda e ad agosto hanno accolto ragazze afghane
«Le prime atlete che abbiamo aiutato erano in Ruanda – racconta l’ex ciclista –. Siamo partite in piccolo: caschi, scarpe, abbigliamento tecnico. In Ruanda il ciclismo viene visto come un faro di speranza dopo il genocidio e le atlete sono delle eroine». Quest’anno per la prima volta due di loro hanno partecipato al campionato mondiale in Belgio su strada, «sono arrivate tra le ultime, ma non importa…erano lí ed erano entusiaste! » dice Alessandra, che ha sostenuto mote aspiranti cicliste anche in Costa d’Avorio, Sudamerica, Nigeria e Afghanistan.
Ed è così che è entrata in contatto con Sahra, nata nel Paese dei talebani. Lei ha 19 anni, un inglese stentato e una certezza: diventare, come Alessandra, una campionessa mondiale. Lei si era appena iscritta all’università. Poi c’era lo sport. «Un giorno sarò una delle migliori, mi dicevo, anche se sapevo di avere sogni forse irraggiungibili, ci ho sempre provato».
Ora dice grazie all’Italia dove è stata accolta, «questo è un bel Paese, le persone sono gentili, c’è tanto verde e non c’è miseria».
Cappellotto ricorda le settimane della presa di Kabul da parte dei taleban, fino all’ultimo volo partito per l’Italia il 27 agosto. «Io e Anita ci davamo il turno per dormire, almeno qualche ora... sono stati giorni folli – racconta Alessandra –. Ricevevamo centinaia di messaggi dalle ragazze. Ci mandavano le foto di dov’erano, magari a cinquanta metri dal gate, non riuscivano ad avvicinarsi. C’erano talebani a ogni angolo».
«Le due sorelle che abbiamo qui con noi adesso sono state due giorni con i piedi nel rigagnolo sporco attorno all’aeroporto. Il tempo per imbarcarle era sempre meno, il caos a Kabul totale e alla fine solo le più forti si sono salvate».
L’associazione vuole portare in Italia altre atlete che sono rimste in Afghanistan e quelle che sono scappate via terra in Pakistan, Iran e Turchia. «Alcune hanno il visto, ma altre no. Se non le ammazzano perché sono cicliste, moriranno di fame. Dobbiamo muoverci subito».
Intanto lo sguardo si fissa sul prossimo Natale. «Queste ragazze vivono lontane da casa, ma intanto non vedono l’ora di fare l’albero e adorano le decorazioni. Integrazione vuol dire anche questo».