«Se i dati siciliani li si legge nel loro insieme e non a pezzi il loro messaggio è quasi banale: la risposta degli elettori viene dopo la proposta dei partiti. Se non c’è una proposta credibile, perché creduta almeno da chi la avanza, non ci può essere una risposta adeguata. La notizia non è la sconfitta del centrosinistra, ma la sua disfatta... ». È uno sfogo amaro quello di Arturo Parisi. Lui, il politico che ha inventato l’Ulivo e che con l’Ulivo ha dato un governo al Paese, fatica a usare parole come disfatta. Fatica a raccontare un centrosinistra nel pantano. E quando lo fa è solo perchè spera che il suo grido d’allarme venga compreso. «Siamo nei guai e abbiamo tutti il dovere di ritrovare un percorso comune. La costruzione di una vera coalizione di governo è molto difficile, ma almeno proviamo a mantenere un contatto, ad aprire una fase inclusiva. Tutti a partire dal Pd che ha una responsabilità maggiore...». In Sicilia quel contatto è mancato... E la sconfitta è diventata disfatta. E, invece, una prima lettura dei dati sulle liste ci dice che se il campo di centrosinistra si fosse presentato unito attorno ad una candidatura comune puntando al primato oggi i commenti sarebbero stati ben diversi. La disfatta, il disfacimento del centrosinistra, non è l’effetto ma la causa del voto. Negli ultimi 3 mesi l’idea di un centrosinistra capace di vincere e di governare sembra evaporata. Renzi ha responsabilità? Mi pare che a riconoscerle sia stato lui stesso. Da subito e senza esitazione. Anche se molti renzisti pretenderebbero di attribuire la colpa agli avversari che, rifiutandosi di cooperare alla sua vittoria, lo hanno sconfitto. Purtroppo le battaglie non basta farle, bisogna anche vincerle. Soprattutto quelle giuste, come io ancora ritengo quella perduta il 4 dicembre. Crede che la bocciatura della riforma costituzionale abbia ucciso le prospettive di rimettere insieme una coalizione? L’errore è stato aver lasciato senza risposta la domanda aperta da quella sconfitta. L’obiettivo di portare finalmente a compimento la transizione aperta all’inizio degli anni ’90 era giusto. Ma la strategia per centrarlo è stata sbagliata. E allora era questa risposta che bisognava cercare nelle primarie raccontate ancora una volta come se fossero un congresso. Non la conta delle deleghe che lo hanno riconfermato alla guida del partito. La fiducia sul Rosatellum e la scelta di puntare su questa legge elettorale è stata una scelta che ha tolto smalto alla leadership di Renzi? Non credo che la leadership di Renzi abbia al momento alternative. Perso per strada l’obiettivo che dava forza alla sua leadership direi che è finito piuttosto come Sansone rasato dei capelli nei quali, nel racconto biblico, stava il segreto della sua forza. La condotta sulla legge elettorale, prima il Mattarellum, poi il Mattarellum 2.0, poi il Tedeschellum, e ora il Rosatellum rivendicato come una vittoria del partito, più che una causa delle sue difficoltà ne è il segno più sicuro. Orlando dice 'si apra il confronto sulla premiership di Renzi'. Bersani dice con chiarezza 'mai in una coalizione dove Renzi è il candidato'. Che cosa succederà? Non lo so. So solo che il 'Rosatellum' ha cambiato totalmente lo schema e la logica della competizione. Anche se a soli tre giorni dalla promulgazione della nuova legge elettorale è comprensibile che pochi se ne siano resi conto, nessuno dei termini che abbiamo usato nel ventennio passato ha più il senso di prima. Né quello di candidato premier, né quello di candidato uninominale nel residuo di collegi decisi dalla regola maggioritaria. Ma soprattutto non ha più lo stesso senso quello di coalizione. Quelle della legge Rosato non sono coalizioni per il governo, ma semplici apparentamenti elettorali pensati innanzitutto per massimizzare i seggi conquistati e spartirli tra i partiti apparentati ai danni degli altri. Sulla scheda l’elettore non troverà più la domanda su chi vuole che guidi il governo del Paese, ma a quale partito delega questa risposta. Dopo il voto politico forse a marzo il rischio ingovernabilità pare altissimo e c’è chi scommette su un patto Renzi-Berlusconi. Che vorrebbe dire per il Paese e cosa si può ancora fare per far camminare l’Italia su una strada meno accidentata? Perché rischio altissimo? Conviene darlo per certo. La nuova legge prevede che ogni partito cerchi di conquistare il maggior numero di seggi possibili, in modo diretto nei due terzi proporzionali o indiretto nel terzo residuo, per consentire al proprio segretario di sedersi al tavolo della trattativa post-elettorale e portare a casa il massimo possibile. Prima lo si spiega agli elettori e meglio è. Altrimenti l’inevitabile spettacolo che ci attende dopo il voto farà esplodere un cinismo di massa. E, prima ancora, suggerisco ai politici di misurare le parole. Più che mai. Sorridere a tutti i possibili alleati. Limitarsi ad attaccare solo chi si esclude in modo assoluto da ogni forma di negoziato e cooperazione. Preferire un profilo propositivo ad uno oppositivo. Raccontare 'l’Italia che vogliamo' più che denunciare gli italiani che non vogliamo. Considera questo Pd il suo Pd? È l’unico che abbiamo. © RIPRODUZIONE RISERVATA L’intervista
L’ex ministro che ha inventato l’Ulivo lancia l’allarme: siamo nei guai, abbiamo il dovere di aprire un percorso comune
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