L'immagine del veliero semiaffondato lo scorso 17 giugno - Fotogramma
«Gli uomini, le donne e i numerosi bambini, i cui corpi attendono di essere riconosciuti dai familiari venuti da tutta Europa, siano un forte richiamo ai singoli e alle istituzioni perché la voce del sangue dei fratelli che grida dal profondo del mare non resti inascoltata mentre denuncia la deriva della nostra stessa umanità, e perché il valore dell’accoglienza che caratterizza il nostro popolo non sia soffocata mentre si leverà fino alla fine la Voce che rimane giudizio costante della storia: “Ero straniero e non mi avete accolto”».
I vescovi calabresi non chiudono gli occhi e la bocca, né chinano il capo di fronte all’ennesima strage in mare consumatasi il 17 giugno al largo di Roccella Jonica, nel mare che da millenni unisce Oriente e Occidente mentre oggi è trasformato in un «cimitero» come denunciato da papa Francesco. «I vescovi della Calabria – è spiegato nella nota della Conferenza episcopale regionale - si uniscono al dolore del confratello vescovo di Locri-Gerace, mons. Francesco Oliva, e accordano alla sua la loro voce per denunciare ancora una volta l’anestesia delle coscienze di fronte a questa ennesima sconfitta dell’umano e le miopi misure incapaci di evitare simili tragedie». I presuli parlano d’un «naufragio anonimo e invisibile» sulle «belle rive della Calabria che attendono tanti turisti e rischiano di seppellire tante speranze dentro un assordante silenzio».
L’ultimo aggiornamento ufficiale sulle vittime della strage, inviato martedì e confermato ieri pomeriggio dalla prefettura di Reggio Calabria, parla di undici sopravvissuti e trentasei morti accertati. Trentacinque salme sono state recuperate: dieci uomini, nove donne, quindici minori (otto maschietti e sette femminucce) e un ultimo ancora senza nome. A essi va aggiunta la donna deceduta dopo i soccorsi del 17 giugno. Ma a sentire il racconto dei superstiti, altrettanti sono ancora dispersi in mare. In totale dovrebbero essere una settantina i partiti nei giorni 8 o 9 giugno da Bodrum, in Turchia. Numeri sovrapponibili al naufragio del 26 febbraio 2023 a Steccato di Cutro, poche centinaia di chilometri a nord della Locride, dove le vittime furono 94 vittime, 35 dei quali minori, e una decina i dispersi. Dramma che indignò e addolorò il mondo, tra l’altro con più di un’ombra sulla macchina dei soccorsi del caicco che trasportava i migranti.
È recluso nel carcere di Catanzaro per omicidio il 27enne iracheno A. H., arrestato martedì. È uno degli undici migranti (tra cui una bambina di dieci anni anch’essa irachena) sopravvissuti al naufragio di Roccella. Secondo le indagini di polizia e guardia di finanza, mentre la barca a vela era già alla deriva, avrebbe aggredito una connazionale sedicenne, figlia di un'altra superstite, fino a provocarne la morte per soffocamento.
L’oratorio della parrocchia “San Nicola” è diventato il punto di raccolta in cui la Caritas diocesana, assieme ad altre sigle del terzo settore, sta accogliendo i familiari delle vittime e dei superstiti che stanno arrivando anzitutto dal nord Europa per ricongiungersi o riconoscere i familiari. La direttrice della Caritas, Carmen Bagalà, racconta che si tratta di professionisti, spesso anche giovani, perfettamente inseriti nei luoghi di immigrazione: Olanda, Germania, Svezia, Gran Bretagna. I migranti sopravvissuti o morti in mare avrebbero raggiunto loro e non sarebbero rimasti in Italia, pur avendone diritto. Sono determinati a restare nella Locride sino a quando non ci sarà stato il riconoscimento dei congiunti. Per conciliare il lavoro, sono da giorni in smart working. Non tutti sono ospitati dalla Caritas o da altre sigle del volontariato, ma hanno prenotato alberghi. Carmen Bagalà sottolinea il lavoro gomito a gomito, in perfetta sintonia, con Croce rossa, Save the children, Medici senza frontiere, Unhcr e le altre realtà da giorni impegnate nelle attività di supporto a vittime e superstiti. Così come l’imam di Roccella, anch’egli al loro fianco per aiutare in piccole e grandi procedure. Come l’inumazione d’una delle vittime per il suo trasferimento a Kabul. L’imam era con loro pure durante la veglia di preghiera che il vescovo Francesco Oliva ha organizzato nei giorni successivi alla strage.