domenica 8 novembre 2020
Finora gli unici cambiamenti provati da studi scientifici sono quelli che hanno reso più contagioso il virus e più drammatici i suoi effetti nei polmoni
Le mutazioni del virus: quante sono state e perché fanno paura

Ansa

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Mutazione. Una parola che fa ancora paura. Nel caso del virus Sars-Cov-2 ancora di più. Eppure ogni virus muta. È provato da tempo. Così come è provato che l’evoluzione molecolare gioca un ruolo importantissimo nella pandemia da Covid-19. Anche in senso positivo: «Nel giro di pochi giorni dai primi casi di polmonite anomala segnalati, sono stati compiuti progressi significativi nella lotta contro di essa: il virus è stato isolato, sequenziato, identificato e caratterizzato geneticamente – scrivono Massimo Ciccozzi (Unicampus) e altri ricercatori in una review appena apparsa su Biochemical and Biophysical Research Communication –. Sulla base delle sue caratteristiche genetiche, sono stati sviluppati saggi molecolari e sierologici che sono stati introdotti nella diagnostica di routine.

I mezzi farmacologici sono stati gradualmente scoperti e introdotti e sono state sviluppate o sono in fase di sviluppo strategie generali di vaccinazione ». Nei mesi scorsi, Ciccozzi, insieme al gruppo americano di Robert Gallo e Davide Zella ha individuato la mutazione che ha reso più contagioso il virus, individuata nella proteina D614g (proteina di picco, Spike). Oggi, uno studio dei texani di Galveston, pubblicato da Nature, fa un passo in avanti, dimostrando che quella mutazione «ha migliorato la replicazione della Sars-CoV2 nel tratto respiratorio superiore attraverso l’aumento dell’infettività dei virioni». Rispetto al virus originale D614, fors’anche per la maggiore espressione del recettore ACE2 nella cavità nasale rispetto al tratto inferiore, il virus emergente G614 si è replicato ad un livello più alto nel polmone umano e le differenze di replicazione sono state osservate in modo più drammatico, con un vantaggio fino a 13,9 volte.

Tuttavia, secondo questo studio, «la sostituzione del picco D614G aumenta la suscettibilità alla neutralizzazione » e ciò potrebbe aiutare chi studia vaccini e anticorpi terapeutici. Lo studio italiano evidenzia il ruolo dell’analisi filogenetica e della modellazione dell’omologia, come pure degli studi che esplorano il genoma del virus e la struttura delle sue proteine. Peraltro, se si escludono gli studi sul passaggio pipistrello-uomo, cui hanno contribuito sempre gli italiani, e poche altre ricerche, come quelle sulla Rna polimerasi dove hanno collaborato anche Gallo e Zella. In un anno di lavoro su questo coronavirus l’unica vera scoperta è questa mutazione D614G, che è diventata dominante nella Sars-CoV-2, fors’anche perché, come puntualizzano gli italiani, «la determinazione rigorosa dell’infettività della Sars-CoV-2 è molto difficile a causa della continua evoluzione del virus». Se non che le mutazioni godono di pessima fama.

Chi ha la responsabilità della gestione dell’emergenza le considera un fattore di confusione, che incentiva il “liberi-tutti”. In realtà, come sottolineano i ricercatori italiani, il tema è un altro: «Le mutazioni adattive del genoma della Sars-CoV-2 potrebbero alterarne il potenziale infettivologico e, allo stesso tempo, potrebbero aumentare la difficoltà di sviluppo di farmaci e vaccini, anche se quest’ultima ipotesi non e dimostrata». Esattamente com’è avvenuto con la D614g, che ha esaltato la contagiosità del coronavirus, e come potrebbe capitare nuovamente. Infatti, osservano i ricercatori, «l’alto tasso di errore nella replicazione del Rna e la conseguente rapida evoluzione delle popolazioni virali potrebbe influenzare la trasmissibilità del virus, il suo tropismo cellulare e la patogenicità », ma questo «purtroppo, presenterebbe anche sfide scoraggianti per la progettazione di vaccini efficaci e di mezzi diagnostici».

Fortunatamente, finora la diversità osservata tra le sequenze di Sars-CoV-2 è stata bassa ma, Gin linea di principio, esiste la possibilità di mutazioni positive della selezione naturale» sottolinea lo studio. Che però gela le speranze di qualche mese fa: «Considerando la sua elevata trasmissibilità e l’assenza di immunità preesistente nella popolazione generale, la scomparsa naturale appare improbabile. Inoltre, non si sa se la Sars-CoV-2 sia già completamente adattata per una crescita efficiente nell’essere umano, in modo da diventare endemica e meno aggressiva ». Non ci sono ragioni, insomma, per credere che si siano verificati cambiamenti del virus nella direzione di una diminuzione della patogenicità. Il distanziamento fisico e le mascherine restano pertanto l’arma più efficace per contenere la pandemia.

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