
Il Cpr di via Corelli a Milano - ANSA
Sono luoghi che violano il diritto di asilo e di difesa. Costosissimi per l’erario. Inefficaci anche per lo scopo cui sono destinati, i rimpatri. È una bocciatura senza appello quella pronunciata da tempo sui Cpr, i Centri di permanenza per il rimpatrio, dal Tavolo asilo e immigrazione (Tai), cartello di oltre 20 realtà tra cui Arci, Asgi, Acli, Astalli, Associazione Papa Giovanni, Emergency, Migrantes, Msf.
Istituiti nel 2017 dai ministri della Giustizia Andrea Orlando e dell’Interno Marco Minniti, governo Gentiloni, ereditano le funzioni dei Centri di identificazione ed espulsione voluti nel 2009 dal governo Berlusconi, e prima dei Centri di permanenza temporanea del 1990 della legge sull’immigrazione Turco-Napolitano. Un sistema di detenzione amministrativa che già nel 2007 la Commissione De Mistura, voluta dal ministro dell’Interno Giuliano Amato, definiva problematico, dispendioso, inefficiente.
La capienza reale delle 10 strutture italiane – il governo Meloni vorrebbe raddoppiarle – è di 500/600 posti, pari allo 0,1% - un millesimo - degli irregolari stimati sul territorio nazionale. La detenzione è fino a 18 mesi (convalidati entro 48 ore da un Giudice di pace), anche se di fatto sono solo i primi mesi quelli utili all’identificazione e al rilascio del passaporto per l’espulsione. Chi non viene identificato esce per decorrenza dei termini.
Nel 2023 sono stati 6.714 i migranti nei Cpr, ma solo 2.987 sono stati espulsi, il 44%. Poco più del 10% dei 28 mila provvedimenti di espulsione consegnati a stranieri irregolari. Dati stabili da anni.
La possibilità di espellere dipende molto dalla nazionalità dei trattenuti: la gran parte sono tunisini (nel 2023 il 48% degli ingressi) che, grazie agli accordi bilaterali Italia-Tunisia, hanno probabilità di rimpatrio molto più alte di altre nazionalità: tra 2019 e 2023 il 70,6% dei rimpatriati sono stati tunisini. Per le altre nazionalità la percentuale dei rimpatri crolla, mai più dell’8%. Senza accordi di riammissione i consolati stranieri difficilmente collaborano per l’identificazione e il rilascio dei documenti, indispensabili per rientrare in patria. Poi c’è il fenomeno della “doppia pena”: l’irregolare che ha scontato una condanna penale in prigione, viene rinchiuso di nuovo per mesi nei Cpr, per gli accertamenti necessari all’espulsione. Una procedura che poteva essere fatta durante la detenzione.
Sistema inefficiente, dunque. E pure costoso. La Corte dei Conti ha calcolato il costo dei Cpr: nel 2020 8,3 milioni per rimandare a casa 3.351 persone. Circa 2.500 euro a testa. Il Tai calcola che negli ultimi 6 anni i Cpr siano costati oltre 92 milioni, circa 1,6 l’anno a centro. Costo a persona, nel 2023, tra i 30 e i 42 euro.
Pesanti i costi umani in termini di violazioni dei diritti. Gennaro Santoro di Antigone definisce i Centri «buchi neri incostituzionali: mentre le carceri sono regolamentate da un ordinamento penitenziario e le violazioni finiscono in Tribunale, per i Cpr c’è solo il Testo Unico immigrazione che parla di “garantire standard minimi”. Sono involucri in cui si passa il tempo senza fare nulla». Peggio di una prigione. Non sorprende che nei Cpr esplodano regolarmente proteste. Diffusa la distribuzione di psicofarmaci per abbassare chimicamente la tensione. Fabrizio Coresi di ActionAid racconta che a Ponte Galeria (Roma), «non solo abbiamo riscontrato patologie gravi non trattate, ma anche un abuso di psicofarmaci. Non c’è una persona, di quelle incontrate, che non fosse in stato confusionale o con lo sguardo perso, segni evidenti di somministrazione sistematica senza consenso informato». Senza contare «gli atti di autolesionismo, all’ordine del giorno. E i tentativi di impiccagione – segnala ActionAid - che sono derubricati a simulazione». Ma a volte riescono, come per Ousmane Sylla, 22 anni, guineiano, impiccatosi il 4 febbraio 2024. L’ultimo dei circa 40 suicidi in queste prigioni amministrative.
Un sistema fallimentare, ripete il Tai, che ne chiede la chiusura immediata, a favore invece di politiche di regolarizzazione e integrazione assieme a percorsi legali di ingresso. «E se si cancella il divieto di re-ingresso per gli irregolari da espellere – spiega il coordinatore del Tavolo, Filippo Miraglia – gli immigrati sono molto più collaborativi per il rientro». Se non funzionano e costano cari, perché tenerli aperti? «L’obiettivo della detenzione amministrativa – sostiene il Tai – è solo marginalmente quello dichiarato: non serve per le espulsioni, ma ad alimentare l’idea che lo straniero è pericoloso. I Cpr si inseriscono in un’ampia gamma di argomenti usati per la propaganda anti-immigrazione».