sabato 26 ottobre 2024
Daniel, Sofia, Tartel e Aisha sono nel nostro Paese e parteciperanno alla manifestazione pacifista di oggi a Bari: non tutti in Israele sono d’accordo con Netanyahu e non tutti a Gaza sono filo-Hamas
Da sinistra: Tarteel Al Junaudi, Daniele Taurino (Movimento Nonviolento), Sofia Orr (Mesarvot)

Da sinistra: Tarteel Al Junaudi, Daniele Taurino (Movimento Nonviolento), Sofia Orr (Mesarvot) - L.Liv.

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Pacifisti di nuovo in piazza, oggi, per chiedere spazio per la diplomazia e non per le armi. Non una solo manifestazione nazionale, ma sette: Bari piazza Massari (ore 9,30); Cagliari piazza del Carmine (10); Firenze piazza S.M. Novella (14); Milano Arco della Pace (14,30); Palermo piazza F.Crispi (10); Roma Porta S.Paolo (14,30); Torino piazza Arbarello (14,30) . Promotori: Europe for peace, RetePace e Disarmo, Fondazione PerugiaAssisi, AssisiPaceGiusta, Sbilanciamoci!


Ci saranno anche loro sul palco a Bari, alla fine della manifestazione che ha in Puglia l’appuntamento per il popolo della pace delle regioni del sud continentale. Sono i quattro ragazzi - due israeliani e due palestinesi - che da giorni stanno girando da Nord e Sud la Penisola, per raccontare che un’altra via è possibile, che non tutti gli israeliani sono d’accordo col governo di Netanyahu, che non tutti i palestinesi sono filo-Hamas.

A portarli in Italia è il Movimento Nonviolento, che prosegue con coerenza la campagna di “Obiezione alla guerra”, dopo l’invito nel nostro Paese l’anno scorso di obiettori, renitenti alla leva e pacifisti ucraini, russi e bielorussi. Stavolta sono tre ragazze e un ragazzo che, nella tragedia in corso da un anno in Israele, sono impegnati in Mesarvot, rete di attivisti israeliani che rifiutano il servizio militare obbligatorio, e Community Peacemakers Team (Cpt), organizzazione palestinese che sostiene la resistenza nonviolenta all’occupazione israeliana.

Vederli assieme, chiacchierare stanchi ma sorridenti per l’intenso tour italiano, è l’immagine concreta della convivenza realizzabile. E che l’odio non è una strada obbligata. Per tutti gli obiettori, renitenti e disertori dei Paesi in guerra, il Movimento Nonviolento chiede il riconoscimento dello status di rifugiato. «L’Italia l’ha già fatto nel 1992 – spiega il presidente del Movimento Nonviolento, Massimo Valpiana – con la legge 390 per gli obiettori in fuga dalle guerre in ex Jugoslavia, ispirata dall’europarlamentare verde Alex Langer».

A Roma i quattro ragazzi sono stati protagonisti di un’audizione alla Camera dei deputati, nel Comitato permanente sui diritti umani nel mondo, su invito della presidente, la deputata dem Laura Boldrini. A rendere possibile la conferenza stampa alla Camera sono stati, assieme alla presidente Boldrini, Stefania Ascari (M5s) e Francesco Mari (Avs). I quattro giovani sono Daniel Mizrahi, 26 anni, e Sofia Orr, 19 anni, entrambi israeliani. Poi Tarteel Al Junaidi, 29 anni, e Aisha Amer, 25 anni, palestinesi.

Daniel Mizrahi indossa una mascherina Ffp2 e un berretto: «Preferisco non mostrarmi, ho paura al mio ritorno di subire ritorsioni, la perdita del lavoro. Ho rifiutato la leva obbligatoria e per questo sono stato 50 giorni in carcere. È importante che la comunità internazionale capisca che Israele non è una democrazia», dice senza esitazioni: «Israele governa su milioni di palestinesi – spiega – che però non hanno diritto di votare. E poi in Israele non c’è libertà di parola né di espressione». Non solo: «Arabi di cittadinanza israeliana vengono arrestati mezz’ora dopo aver postato sui social commenti di empatia per i bambini vittime di guerra, o perché chiedono la pace. A Gerusalemme e ad Haifa ci sono manifestazioni non violente – racconta – represse con la forza e con la detenzione amministrativa. Si finisce in carcere per mesi o anni senza un processo. La cosa peggiore ovviamente sono le uccisioni di massa a Gaza e in Cisgiordania. Non c’entra essere arabi o ebrei, è una questione di umanità».

«A febbraio ho rifiutato il servizio militare – racconta Sofia Orr – per non essere parte attiva o solo complice dell’oppressione, dell’occupazione o del genocidio. Il mio corpo sarebbe stato gettato in un ciclo di violenza che sta sconvolgendo il paese, dal fiume al mare. E l’ho voluto fare pubblicamente, attraverso Mesarvot, per dare il massimo risalto possibile alla mia azione, per far sentire la voce e la sofferenza dei palestinesi. La voce della giustizia e della pace – dice Sofia – non solo non viene ascoltata in Israele, per colpa di un’educazione militarista e razzista, ma è censurata». Un cambiamento arriverà «solo se ci sarà una pressione internazionale sul governo israeliano, quando si smetterà di sostenerlo e armarlo incondizionatamente. È fondamentale portare la voce di noi quattro insieme, per mostrare la coesistenza nei fatti. E che nessuno deve essere privilegiato».

«Io vengo da Hebron, in Cisgiordania – racconta Tartel Al Junnaidi – città ad alta intensità di violenza, dei militari ai check point e dei coloni estremisti. Sono cresciuta come tutti nella coscienza che la mia voce non sarebbe mai stata ascoltata. Per questo ho deciso presto di provare a cambiare qualcosa aderendo al Cpt, per aiutare le persone più fragili nell’approccio con i militari israeliani: ogni giorno le persone vengono arrestate o fatte attendere ore, anche i bambini che devono andare a scuola. Per interrompere il ciclo della violenza bisogna intaccare le sue radici, che sono i soprusi e le ingiustizie. Chiediamo la pace, che può essere raggiunta solo attraverso la giustizia».

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