undefined - ANSA/Fabio Frustaci
Si dice «abbastanza soddisfatto» di questa Nadef il professor Giovanni Tria, ex ministro dell’Economia nel primo governo Conte (Lega-M5s) e consigliere del ministro Giorgetti (Sviluppo) nel governo Draghi. «Il governo si è trovato a vararla - spiega- fra due bracci di una tenaglia: c’è da un lato un rallentamento dell’economia internazionale, in atto e previsto per il futuro e senza una particolare incidenza dell’azione italiana, e dall’altro la botta fortissima, la voragine aperta per gli anni a venire dal Superbonus 110% voluto dal governo Conte 2, che io ho definito una misura eversiva».
Addirittura eversiva?
Già era al di fuori di ogni logica la concessione di uno sgravio superiore alla spesa, ma l’aspetto più grave è stata la cedibilità senza vincoli del credito d’imposta che ha creato una moneta fiscale. Mi stupisco di come non sia intervenuta la Commissione Europea, spesso tanto attenta a dettagli ben minori.
C’è poi anche l’inflazione.
L’inflazione può aiutare il governo quando è breve perché gonfia il Pil nominale, che è il denominatore del rapporto debito/Pil, e accresce le entrate. Quando si protrae, però, comincia ad avvertirsi sui conti pubblici il peso del maggior costo sostenuto dallo Stato per i sussidi erogati contro il carovita.
Il deficit programmatico 2024 al 4,3% non è comunque una sfida alla Ue?
È un aumento tutto sommato accorto, visto anche il trascinamento del maggior deficit maturato nel 2023 e tenuto conto del margine d’azione minimo che a un governo è difficile negare. Non vedo un cambio di linea rispetto alla prudenza necessaria. È importante ora che la Nadef sia presentata così ai mercati. In questa fase è più utile creare fiducia fra gli investitori che spendere di più.
Non sono pochi 2 miliardi di risparmi dai ministeri? Si poteva fare di più?
Si poteva fare una spending review certo più intensiva, a esempio agendo sui tanti bonus e le tante spese programmate, ma ormai obsolete che si potrebbero eliminare senza grossi effetti. Nel bilancio pubblico da 1.100 miliardi spazi si possono sempre trovare, ma ciò comportava un lavoro molto più accurato. La politica, poi, ha i suoi equilibri. In ogni caso, faccio notare che il bilancio pubblico si gestisce lungo tutto l’anno, non solo a settembre e ottobre.
Torniamo al Superbonus. Lei quindi da ministro l’avrebbe bloccato?
Sì, l’avrei fatto. Come feci per l’idea balzana dei mini-Bot, presentata da chi non aveva in simpatia l’euro. Il 110% è un meccanismo devastante: la natura stessa dei crediti cedibili di fatto non consentiva di stimare gli impatti effettivi, e per questo ora ci ritroviamo con costi pari a oltre un punto di Pil l’anno.
A proposito di spese, si discute molto di quelle per il Ponte sullo Stretto.
Io sono e sono sempre stato a favore del ponte. Per far vedere che in Italia è ancora possibile fare una grande opera pubblica. Sono decenni che ci si oppone dicendo che in Sicilia ci sono altre priorità. Ma visto che queste rimangono perché non cominciare allora dal ponte? Darebbe anche l’immagine all’estero di un’Italia che guarda avanti e non ancorata alla difesa di una crescita stagnante.
Quali spazi vede ora per la trattativa sull’ok al quadro della Nadef da parte dell’Europa, già alle prese peraltro con la revisione del Patto di stabilità?
Innanzitutto non mi piace la proposta di riforma presentata dalla Commissione Europea, non mi pare che faccia fare passi in avanti nella costruzione di un vero bilancio europeo. Lascia una discrezionalità eccessiva alla Commissione, che poi è quel che vogliono a Bruxelles. Discrezionalità che può essere usata in un senso o nell’altro, come si è visto per il Pnrr. Nella Ue non c’è tuttora una politica di stabilizzazione perché non ce n’è una fiscale comune, come non c’è una politica strutturale sugli investimenti di natura comunitaria.
Già nelle ultime “raccomandazioni” Bruxelles consigliava però agli Stati di convergere verso il 3% di deficit.
È abbastanza difficile riuscirci in questa fase, con anche i costi per la guerra in Ucraina. La Ue potrà capire. Vedo invece più con favore per il futuro regole uguali per tutti, anche fisse al limite, senza contrattare con i singoli Paesi quello che debbono fare. Del resto, per l’Italia l’obiettivo storico ora resta comunque quello di ridurre il debito, non certo generare spazi per poter spendere di più.