domenica 10 novembre 2024
Di fronte alla carenza di personale la presidente della Fnopi, Mangiacavalli, spiega che per attirare i giovani occorrono prospettive professionali, più responsabilità e retribuzioni appetibili
Sono già decine di migliaia gli infermieri arrivati dall'estero che lavorano in ospedali e cliniche italiani

Sono già decine di migliaia gli infermieri arrivati dall'estero che lavorano in ospedali e cliniche italiani - IMAGOECONOMICA

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«Non ci preoccupa l’arrivo di infermieri dall’estero, ce ne sono già tanti. L’importante è che avvenga secondo regole chiare, senza le deroghe di questi ultimi anni». Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi) è cautamente positiva anche sulla Manovra: «È ancora lunga la strada per rendere nuovamente attrattiva la professione infermieristica, di cui c’è così tanta carenza: tuttavia, alcuni segnali ci sono. E stiamo costruendo nuovi percorsi con i ministeri della Salute e dell’Università».

L’annuncio del ministro della Salute Orazio Schillaci dell’arrivo di 10mila infermieri dall’India vi sembra adeguato o vi preoccupa?

Non è una novità, abbiamo già qualche decina di migliaia di infermieri stranieri che lavorano nel nostro Paese. Anzi, da quattro anni, in base alle deroghe stabilite durante l’emergenza pandemica, arrivano senza particolari riconoscimenti dei titoli, né formale iscrizione all’Albo in Italia. In questo modo sono entrati nel nostro Paese circa 12mila infermieri (e alcuni medici) su cui l’Ordine non può esercitare alcuna forma di vigilanza, secondo quelli che sono i suoi compiti di ente sussidiario dello Stato a garanzia della salute del cittadino. Si tratta di una misura emergenziale che presenta molte criticità e che sarebbe il caso di interrompere anche prima della sua naturale scadenza. L’accordo con l’India sana questa anomalia perché prevede regole certe (le stesse in discussione anche in un documento alla Conferenza Stato-Regioni): riconoscimento del titolo di studio, conoscenza adeguata della lingua italiana e iscrizione all’Ordine.

Questa iniezione di infermieri indiani è sufficiente a colmare le carenze di personale?

Oggi in Italia mancano almeno 65mila infermieri. Gli arrivi dall’estero sono la soluzione dell’oggi, ma parallelamente bisogna costruire il futuro. Dagli anni Novanta stiamo affrontando a cicli di 15-18 anni la carenza infermieristica. Ogni volta i decisori politici non affrontano il tema alla radice, in modo strutturale. Si sono fatti incrementi economici, assegni di studio, figure nuove. Ma nessuno è andato alle radici del problema.

Quali sono le strade che la Fnopi propone?

Finora la nostra è stata una professione piatta, senza prospettive di carriera in ambito clinico, ma solo nei ruoli gestionali. Sino agli anni Novanta, quando nel pubblico impiego si andava in pensione dopo 20-25 anni, poteva avere una certa plausibilità. Ma ormai si va in pensione dopo 42 anni di un lavoro, che inizia dopo una laurea triennale, usurante dal punto di vista psicologico e fisico (ma non riconosciuto tale). Gli unici aumenti di stipendio sono legati ai rinnovi contrattuali e agli automatismi per anzianità. Per rendere attrattiva la professione ai giovani bisogna dare la possibilità di un incremento stipendiale legato all’assunzione di responsabilità e allo sviluppo di competenze specialistiche. Oggi abbiamo circa 21mila domande per 20.500 posti nel corso di laurea in Infermieristica ma il 21% degli studenti abbandona, quando si rende conto che è una professione che, pur richiedendo un impegno sui 365 giorni l’anno e sette giorni su sette, non ha uno sviluppo di carriera.

Si sta facendo qualcosa in questa direzione?

Abbiamo iniziato un percorso, con i ministeri della Salute e dell’Università, che valorizzi la laurea specialistica, riconoscendo competenze e responsabilità, con un inquadramento contrattuale, giuridico ed economico, differenziato. È evidente che i risultati li vedremo tra un po’ di anni: per i problemi immediati conveniamo con l’arrivo di infermieri dall’estero. Le nuove competenze prevedono anche una gestione infermieristica di alcune prescrizioni.

Non pensa che la prescrizione crei concorrenza e tensione con i medici?

Si tratta di prescrizioni di presidi e ausili per l’assistenza infermieristica: per l’incontinenza, per le stomie, per le medicazioni avanzate. Presidi che oggi gli infermieri utilizzano ma non possono prescrivere: devono dirlo al medico che trascrive quello che indica l’infermiere per il paziente. Da due anni ne parlo con la Federazione dei medici (Fnomceo). La sanità è un atto complesso, agito da oltre trenta professioni, che devono collaborare.

Alcune categorie sono già sul piede di guerra. Le risorse stanziate in Manovra sono adeguate?

Gli infermieri lamentano uno stipendio che è inferiore in media del 22-24% rispetto agli altri Paesi Ocse europei. Nella Manovra c’è l’incremento dell’indennità di specificità infermieristica: poco quest’anno, più sostanzioso dal 2026. Ma, vista l’attuale situazione economica, più che sulle maggiori risorse puntiamo, con gli emendamenti, ad arrivare a una sterilizzazione del cuneo fiscale e a una detassazione di alcune indennità: più che maggiori spese, prevediamo per lo Stato minori entrate. E aumentare il netto piuttosto che il lordo della busta paga. Però le questioni infermieristiche, per la prima volta, sono entrate nella bozza di legge uscita dal governo. Un passo che apprezziamo, ma ne servono ancora molti altri.

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