sabato 7 giugno 2014
Il sindaco: mai preso soldi. L’ex governatore: veleni su di me.
Imprenditori, l’ora del mea culpa di Andrea Lavazza
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Pierluigi Baita, l’ex numero uno della Mantovani, il primo a finire in carcere, insiste: il problema non è il Mose, ma il Consorzio Venezia Nuova. Ovvero? «In questi anni ha sperperato un sacco di soldi distribuendo tangenti e consulenze a tutti. E penalizzando le imprese». Cento milioni è la cifra che Baita azzarda. Altro che solo 25. Ma Renato Chisso, ex assessore alle infrastrutture, in carcere a Pisa, annuncia nei suoi confronti azioni penali. Baita è stato il primo a tirarlo in ballo. Ieri i primi interrogatori di alcuni degli arrestati eccellenti, ben 35, e il più sereno è apparso il sindaco Giorgio Orsoni, accusato di aver incassato almeno 260 mila euro. A metterlo sulla graticola sia Giovanni Mazzacurati, numero uno del Consorzio, che Baita. Questi ha raccontato ai giudici che il 17 settembre 2013 fu lui a dare 50mila euro in nero per Orsoni, «a fronte di una richiesta di 89mila». Ancora più «ampie», come le definisce il Gip, Alberto Scaramuzza, le dichiarazioni di Mazzacurati: il 31 luglio scorso ha affermato di aver dato ad Orsoni dai 400 ai 500mila euro. Di questi solo il 10% è riconducibile a contributi formalmente deliberati della società consorziate, mentre il 90% erano fondi neri: ha detto Mazzacurati. E Orsoni? «Non ritiene che gli sia addebitabile alcun tipo di responsabilità» – riferisce l’avvocato Daniele Grasso, che lo ha assistito nell’aula bunker di Mestre – e si propone «di dimostrarlo attraverso una serie di indagini difensive a integrazione della documentazione acquisita dal procuratore». Imputato di finanziamento illecito, l’ex sindaco insomma, «non c’entra niente con tutte le altre imputazioni». «A me hanno chiesto di fare il sindaco – avrebbe detto Orsoni –, sono un uomo prestato alla politica che non può minimamente fare azioni del genere. Sono assolutamente sereno e tranquillo perchè non è passato un solo centesimo nelle mie mani e nelle mie tasche». Secondo Baita, i fondi neri provenivano «dal 12% che spetta per legge al concessionario per gli oneri, ma anche da voci specifiche di finanziamento, per studi e sperimentazioni», come il sistema informativo di campo Santo Stefano, «inutile cattedrale nel deserto costata milioni di euro». Nel corso dell’interrogatorio, durato circa un’ora e mezzo a Pisa, l’ex assessore Chisso, dal canto suo, dopo aver rivendicato un tenore di vita molto sobrio, avrebbe smentito qualsiasi ruolo di intermediazione tra gli accusati eccellenti e Giancarlo Galan, come ipotizzano invece i magistrati. Respinta sdegnosamente, da parte sua, anche l’ipotesi d’accusa relativa a una partecipazione occulta alla società con capo a Claudia Minutillo, già segretaria di Galan quand’era presidente della Regione e poi imprenditrice. E Galan? Ieri non è stato interrogato, ma ha sollecitato i magistrati a farlo, prendendo carta e penna, pardon, il computer, per chiarire: «Non mi voglio nascondere e non voglio nascondere proprio niente, anzi, esattamente il contrario. Voglio fare luce su tutto». Il suo avvocato, Antonio Franchini, precisa che «è una fantasia», lo stipendio da un milione di euro l’anno che gli avrebbe passato il Consorzio. E che, per quanto riguarda la villa sui Colli Euganei ci sono le fatture a dimostrare la spesa di 450 mila euro per la ristrutturazione. Insomma, tutti negano. Lo faranno, con ogni probabilità, anche i prossimi. Coloro che hanno già conosciuto il carcere, come Lino Brentan, e dalle cui testimonianze sono scaturite le indagini e i provvedimenti cautelari, si dicono comunque sereni. «Non ho nessun stress», tranquillizza Brentan. Si è saputo, intanto, che nell’inchiesta sul Mose sono stati perquisiti anche Mario Forchetti, generale d’armata in congedo della Gdf che, dallo scorso anno, è presidente del comitato regionale per la trasparenza sugli appalti e la sicurezza di cantieri e anche Walter Manzon, che fino a tre anni fa era il comandante provinciale della Finanza a Venezia e che oggi è al vertice in Puglia. Nessuno dei due, tuttavia, è indagato e la perquisizione è stata effettuata 'presso terzi' per i rapporti che li legano ad alcuni degli arrestati.
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