venerdì 25 novembre 2016
Il mondo del fashion, del design e del cibo, al centro del master di ModaCult. Le storie dall'Africa e dal carcere di San Vittore di Milano
Una sfilata di moda

Una sfilata di moda

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Non solo glamour, lustrini, paillettes. Il mondo del fashion può essere veicolo di valori. È quello che da tempo ModaCult cerca di dimostrare occupandosi di sostenibilità della moda con tutte le sue molteplici espressioni e sfaccettature - ambientali, culturali, sociali - e attraverso il racconto di casi aziendali che danno un’impronta innovativa al made in Italy.

Tra le storie imprenditoriali che ben incarnano l’attenzione etica e culturale studiata dal centro di ricerca dell’Università Cattolica c’è RE Italy Eyewear. L’azienda, che produce occhiali di gamma medio-alta distribuiti in tutto il mondo, nasce dall’intuizione di due giovani imprenditori, uno italiano, l’altro di origine togolese.

Riccardo ed Eusebio si conoscono tra i banchi della scuola di ottico-optometrista, diventano amici e decidono di avviare un’attività creativa con l’obiettivo di mettere in risalto la cultura africana e il saper fare italiano.

Rigorosamente lavorati a mano, i loro prodotti hanno la peculiarità di utilizzare tra i materiali per la realizzazione delle montature il wax: il tessuto di cotone africano, inserito nelle lastre di cellulosa, contribuisce a dare agli occhiali colori e nuance particolari, rendendoli unici.

Si tratta, dunque, di un tipico caso di valorizzazione sia della cultura e creatività africana - perché i tessuti arrivano dall’Africa -, sia dell’artigianalità e capacità manifatturiera italiana. Ma anche della testimonianza di un made in Italy che cambia identità in quanto capace di ibridarsi, accogliere e dialogare con elementi di creatività che vengono da lontano.

Anche l’esperienza imprenditoriale di Paul Roger Tanonkou, fashion designer del Camerun, ha una chiara impronta sostenibile. Fondatore del marchio Zenam, già da alcuni anni espone la sua collezione maschile a White, una delle più importanti fiere della piazza milanese dedicate alle nuove proposte e alle realtà emergenti del mondo del fashion.

Caratteristica delle produzioni creative del suo marchio - il cui nome tradotto alla lettera dal dialetto Bamiléké significa raggio di sole - è la vivacità dei colori propria dei tessuti africani che lo stilista camerunense compra da cooperative tessili di donne che vivono in Africa.

Dalla sostenibilità culturale a quella sociale con la Sartoria SanVittore, il brand della cooperativa Alice impegnata dal 1991 nel reinserimento delle detenute.


Nata per cucire costumi teatrali, cui poi si aggiungono le toghe, dal 2010 la Sartoria - che ha anche una sua boutique in via Gaudenzio Ferrari 3 a Milano - realizza due collezioni, invernale ed estiva, disegnate dalla stilista Rosita Onofri. I capi sono confezionati dalle detenute che così hanno la possibilità di avvicinarsi alla dimensione del bello e acquisire un mestiere, che diventa uno strumento per aiutarle a ritrovare un’identità positiva. Lo dimostra il fatto che a fronte di una recidiva ordinaria del 75%, nel caso di Sartoria, su circa 180 donne che hanno lavorato negli anni per la cooperativa solo due sono rientrate in carcere per avere commesso altri reati.

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