martedì 8 ottobre 2024
La misura riguarda il pachistano Zulfiqar Khan, guida di una moschea bolognese e indagato pure in procura. Plaude il vicepremier Salvini. Replicano gli avvocati: «Misura da Stato di Polizia»
L'imam pakistano della moschea di Bologna Zulfiqar Khan

L'imam pakistano della moschea di Bologna Zulfiqar Khan - Ansa

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Se qualcuno mi dice “sei estremista islamico?”, io dico sì, perché estremismo di stampo terroristico...». In un video messaggio diffuso sui social ad aprile scorso, si autodefiniva così il 54enne pachistano Zulfiqar Khan, imam della moschea bolognese di via Jacopo di Paolo, che ieri è stato raggiunto da un decreto di espulsione del ministero dell’Interno. L’affermazione viene riportata nel decreto stesso, che la include in un lungo elenco di motivazioni ed episodi alla base dell’espulsione, ritenendo che sia rivelatrice della «visione fondamentalista della religione islamica» e «indicativa di rilevante pericolosità per la sicurezza nazionale» da parte di Khan stesso. Nato nel 1970 a Rawalpindi, è in Italia dal 1995 ed è titolare di un regolare permesso di soggiorno, che però ora potrebbe essergli revocato: ieri è stato accompagnato in Questura per le procedure legate all’espulsione. La decisione del Viminale, salutata con favore dalla Lega, viene contestata dall’avvocato difensore dell’imam, Francesco Murru, che lamenta il «ritorno a uno Stato di polizia e al perseguimento dei reati di opinione». In serata si è appreso inoltre che il religioso sarebbe indagato per istigazione a delinquere dalla procura bolognese, che vorrebbe accertare il contenuto di alcune sue dichiarazioni. Dal 22 ottobre scorso, quando l’attuale governo è entrato in carica, sono 164 gli espulsi per ragioni di sicurezza dello Stato, in quanto ritenuti radicali, estremisti o potenziali terroristi. Fra loro, 94 sono stati allontanati dall’Italia dal 7 ottobre 2023, data d’inizio del conflitto fra Hamas e Israele.

In base al decreto, Khan avrebbe manifestato una visione integralista del concetto di jihad ed esaltato il martirio dei mujahidin nel conflitto israeliano-palestinese, rivendicando il sostegno all’organizzazione di Hamas. In filmati diffusi sui social fra novembre e aprile, avrebbe accusato americani, italiani, tedeschi, francesi e inglesi di appoggiare «gli impuri sionisti», pregando Allah di distruggere gli Stati occidentali sostenitori di Israele, in quanto oppressori. Ancora, avrebbe avuto contatti con stranieri ritenuti vicini ad ambienti dell’Islam «ultra-radicale» e verrebbe ritenuto in grado di fare proseliti e di favoreggiare l’infiltrazione di organizzazioni politico-religiose e para-terroriste. Khan viene descritto come incline a un «crescente fanatismo ideologico» e a una «propensione verso posizioni radicali», segnata da forte risentimento antisemita e antioccidentale e da una retorica omofoba e antifemminista. Dopo la rituale preghiera coranica collettiva, in un’occasione Khan avrebbe invitato i fedeli a opporsi alla richiesta dello Stato di pagare i tributi.

A giugno, l’iman aveva denunciato per diffamazione il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alessandro Morelli e il console onorario di Israele, Marco Carrai. E il vicepremier Matteo Salvini, che allora auspicava sui social la sua espulsione, ieri ha esultato: «Finalmente lo abbiamo rispedito a casa». Tagliente è l’avvocato Murru: «Viene da pensare maliziosamente che quel tweet sia stato esaudito col provvedimento di espulsione» che pare una «ritorsione ai danni di Khan, reo di essersi rivolto alla magistratura penale per ottenere giustizia». Il decreto di espulsione dovrà essere convalidato dal tribunale entro 48 ore. E potrà essere impugnato davanti al Tar del Lazio entro un mese. Murru intende farlo: «Le motivazioni espresse dal ministro Piantedosi sono totalmente generiche e prive di riscontri probatori - argomenta -. Per fortuna viviamo in uno Stato di diritto e la magistratura dovrà valutare la fondatezza del provvedimento».

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