mercoledì 9 aprile 2025
I giudici respingono il ricorso del Viminale contro una sentenza della Corte d'Appello di Roma a favore di due donne riconosciute entrambi madri di un bambino grazie all'adozione in casi particolari
La Cassazione cancella i termini “padre” e “madre” dai documenti dei minori
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La dicitura “padre” (o “madre”) sparirà dalle carte di identità dei minori, poiché non rappresenta le coppie dello stesso sesso che hanno fatto ricorso all’adozione in casi particolari. Lo ha stabilito ieri la Cassazione, che ha respinto il ricorso del Viminale contro la decisione della Corte d’Appello di Roma di disapplicare il decreto ministeriale del 31 gennaio 2019. Un provvedimento con cui il ministero dell’Interno (allora guidato da Matteo Salvini), aveva eliminato dai documenti dei minorenni il termine “genitore”, introdotto nel 2015 dal governo Renzi.


Il ricorso nasceva da una decisione del Tribunale capitolino, che aveva disposto la sola indicazione del termine “genitore” nella carta d’identità elettronica di un minore figlio di due madri, una naturale e una di adozione. La Cassazione ha ritenuto però che la scelta esclusiva tra le diciture “padre” e “madre” non offrisse una corretta rappresentazione dello stato di famiglia del ragazzo, che pure rientra tra «le legittime conformazioni dei nuclei familiari e dei correlati rapporti di filiazione». Per i giudici della Suprema Corte è perciò «irragionevole e discriminatorio» quanto disposto dal decreto del Viminale, perché prevede una denominazione priva «di un reale contenuto esplicativo», consentendo di indicare in maniera appropriata solo una delle due madri e imponendo all’altra di «vedere classificata la propria relazione di parentela secondo una modalità (“padre”), non consona al suo genere».


La decisione mette fine a una lunga battaglia simbolo del capo del Carroccio, appoggiata anche da Giorgia Meloni. La Lega però, con Laura Ravetto, ha già promesso che continuerà a portare avanti la sua lotta: «La Cassazione cancella mamma e papà, che per fortuna sono irrinunciabili, per la natura e per il buonsenso. Non ci arrenderemo mai», ha scritto sui social la deputata responsabile Pari opportunità del partito. Molto duro anche il senatore azzurro Maurizio Gasparri, convinto che la Cassazione sia guidata da «orientamenti più politici che giuridici». «Per me - ha continuato - resta insuperabile l'uso delle diciture “padre” e “madre”. Ma la Cassazione evidentemente, come molti settori della magistratura, preferisce una valutazione politica di parte, quindi la sua credibilità continua a precipitare in maniera vorticosa». Di «decisione innaturale e irrazionale», ha parlato monsignor Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia-Sanremo, per il quale «pretendere di affermare che una coppia di fatto formata da persone dello stesso sesso abbia lo statuto di famiglia non corrisponde all’ordine naturale delle cose», ma è anzi «una forzatura di tipo ideologico e, di conseguenza, anche giuridico, quando la legge la recepisce».


Sul fronte opposto ha esultato il segretario di PiùEuropa, Riccardo Magi, per il quale la sentenza «mette fine alle discriminazioni di Salvini e a una crociata senza senso contro l’utilizzo del termine genitore». Mentre per la deputata dem, Laura Boldrini, la Cassazione ha posto un freno «a una forma di bullismo di Stato perpetrata per anni da chi ne ha fatto oggetto della propria campagna elettorale». Alessandra Maiorino, del M5s, se l’è presa anche lei col vice premier leghista e «la sua testa di legno Piantedosi», che a suo dire hanno «sfidato il ridicolo, danneggiando i minori» ed esponendo il ministero degli Interni «al pubblico ludibrio». Al coro si è aggiunta anche la Cgil, con la segretaria confederale Daniela Barbaresi, per la quale «un’ intollerabile violenza» viene ora «finalmente eliminata a favore della pluralità e della piena legittimità di ogni famiglia. Le famiglie - ha continuato - sono il luogo degli affetti, non il terreno per battaglie antistoriche». «Dopo queste sentenze l'unica soluzione auspicabile è l’annullamento del decreto Salvini», ha incalzato Fabrizio Marrazzo, portavoce Partito Gay, pronoto a farsi promotore di un referendum sul matrimonio egualitario, sul quale , ha detto, «chiederemo un impegno da parte di tutte le forze politiche».


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