Amalia non si dimenticherà mai del Natale 2018. Perché quello di quest’anno sarà il primo che trascorrerà insieme alla sua famiglia ritrovata. Dopo 58 anni ha incontrato per la prima volta la mamma. Insieme a due sorelle e un fratello che non aveva mai saputo di avere. Soltanto fino a un paio di mesi fa non avrebbe mai immaginato di ricevere un dono un tanto grande. E che quel regalo sarebbe arrivato attraverso i social. Anzi, stava per affogare nel più cupo pessimismo.
Dopo anni e anni di ricerche, aveva vissuto la delusione più grande per una persona che cerca di riannodare i fili delle sue origini. Il tribunale di Roma, a cui si era rivolta lo scorso anno per rintracciare la mamma, l’aveva convocata per 'comunicazioni urgenti'. Lei era arrivata con il cuore il gola nell’ufficio della psicologa che si occupa di queste vicende.
Ma dallo sguardo della donna aveva capito subito che le notizie erano tutt’altro che positive. «Sua madre purtroppo ha deciso di confermare la scelta dell’anonimato. Mi spiace». Amalia, romana, classe 1960, è stata abbandonata alla nascita. Capitava spesso tanti anni fa. Si calcola che dagli anni Cinquanta ad oggi siano stati ab- bandonati alla nascita tra i duecento e i trecentomila bambini. Le punte più elevate a cavallo degli anni Sessanta.
E capita tuttora. Ancora lo scorso le donne che hanno deciso di non riconoscere il figlio appena partorito e l’hanno lasciato in ospedale sono state circa un migliaio. Gravidanze arrivate troppo presto, situazioni familiari complicate, povertà, solitudine e tanti motivi ancora. La storia di Amalia è solo una tra le tante. Un mese dopo la nascita, la piccola viene adottata da una generosa famiglia, sempre nella Capitale, che le assicura una vita serena e tranquilla. Amalia cresce, si sposa e ha due figli. «I miei genitori adottivi – racconta – non hanno mai tentato di nascondere le mie origini.
Mi hanno sempre raccontato tutto con tenerezza e semplicità. A me, dopotutto, quella storia della mamma 'naturale' che non aveva potuto tenermi con sé, non importava molto. Mi sentivo amata dalla mamma e dal papà che mi avevano accolto e, senza discussioni, quella era la mia vera famiglia». Con il trascorrere degli anni però il desiderio di alzare il velo sul proprio passato diventa sempre più forte. E i figli, ormai cresciuti, fanno il resto.
Anche per loro è importante scoprire l’identità di quella nonna che era stata costretta a una scelta tanto difficile e tanto dolorosa. «Era un pagina scura su cui noi tutti volevamo fare luce ad ogni costo ». Da qui, anche grazie al sostegno del Comitato per il riconoscimento delle origini biologiche, la 'richiesta di interpello' avanzata al Tribunale di Roma, le ricerche che in pochi mesi sembrano concludersi positivamente. Poi, inattesa, nell’estate scorsa, quella doccia ghiacciata. «Tua madre non desidera incontrarti».
Solo più tardi Amelia scoprirà i motivi di una decisione che al momento le appare incomprensibile. Ma intanto vive settimane di sofferenza acuta, chiede aiuto, verifica le possibilità di proseguire la sua ricerca, poi non può fare altro che rassegnarsi. Il vuoto legislativo che tuttora esiste nel nostro Paese (vedi articolo qui sotto) impedisce alla magistratura di aggirare la volontà di una donna che, dopo un parto in anonimato, decide anche a distanza di molti anni, di confermare quella scelta. Ma verso la fine dell’estate, scorrendo i vari post su un gruppo social, la svolta inattesa. Legge l’appello di una donna romana, poco più giovane di lei, che cerca una sorella maggiore mai conosciuta. E quella sorella si chiama proprio Amalia. Lei, che non ha mai saputo di avere fratelli o sorelle, all’inizio è inevitabilmente incerta.
«Non posso essere io…». Poi la voglia di scoprire chi c’è dietro quell’appello prevale. Uno scambio di messaggi, l’incontro con la donna che potrebbe essere sua sorella, la scoperta che lei conosce molti particolari decisivi. È informata per esempio sul fatto che la mamma nel 1960, aveva avuto una figlia da un fidanzatino poi subito dileguatosi. E che quella bambina era stata lasciata in quel tale ospedale, e poi trasferita in quel tale brefotrofio e poi adottata.
«E la mamma come si chiama? Oddio, sì è proprio lei. Sta bene? Perché non vuole incontrarmi?». Domande angoscianti a cui la sorella – perché ormai è certamente tale – è in grado di fornire tutte le risposte del caso: «Teme il giudizio di nostro padre a cui non ha mai rivelato nulla. E poi, dopo il parto, le avevano detto che tu eri morta. Ma ora le parlo io. Stai tranquilla. Ci siamo ritrovate e non ci lasceremo più».
E così avviene. L’anziana donna, alla notizia che le due sorelle si sono incontrate e hanno immediatamente solidarizzato, scioglie ogni riserva. Anche il tribunale viene informato. Si organizza l’incontro. Arrivano anche l’altra sorella e il fratello. «Quando io e la mamma ci siamo ritrovate per la prima volta da sole, una di fronte all’altra, non abbiamo avuto la forza di dirci nulla. Ci siamo guardate, ci siamo sedute vicine e siamo rimaste così per una ventina di minuti, tenendoci la mano, con le lacrime che ci rigavano il volto». Una mamma ritrovata, tre sorelle e un fratello per cui il Natale sarà davvero avvolto nella luce della vita che ricomincia.