sabato 16 dicembre 2017
La normativa sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento lascia pochi argini ai possibili abusi ai danni di chi costa in cure e assistenza.
Ansa

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Le vicende umane di dj Fabo e degli altri due italiani che negli ultimi mesi - pur non essendo malati terminali - si sono suicidati con l’assistenza di 'cliniche' svizzere hanno indubbiamente rovesciato sui parlamentari alla prese con la discussione del biotestamento un pesante carico emotivo. Razionalmente, tuttavia, non si può non riconoscere come la legge approvata due giorni fa dal Senato riguarderà per la stragrande maggioranza casi persone anziane. Spesso affette da malattie croniche.

E non sempre in grado di esprimere una volontà davvero libera e consapevole. Si apre dunque il grande problema della loro tutela, una necessità che il testo normativo non sembra concretamente in grado di perseguire. Uno dei punti più cri- tici è quello disegnato dall’articolo 3, comma 6, per cui le Disposizioni anticipate di trattamento possono «essere redatte» non solo «per atto pubblico o per scrittura privata autenticata», ma anche con semplice «scrittura privata consegnata personalmente dal disponente presso l’ufficio di stato civile del comune di residenza».

E se si considera che tale può essere anche un testo prestampato, semplicemente sottoscritto e dal dichiarante portato in Comune, appare evidente come questa disposizione sia molto meno rigida rispetto a quella che regola il testamento 'patrimoniale'. Per quest’ultimo adempimento, infatti, salvi casi specialissimi e di rarissima evenienza, perché sia valido uno scritto non completamente olografo serve il ministero di un notaio: figura di garanzia prevista per assicurare la genuinità del documento e delle volontà a esso affidate.

Suscita dunque perplessità il fatto che, una volta approvata la nuova legge, la destinazione del patrimonio del testatore sarà tutelato ben più della sua vita. E gli interrogativi aumentano – sotto questo filone argomentativo – se si considerano gli oneri di assistenza e cura che sempre più spesso richiedono gli anziani: medicine, badanti, rette di degenza… quali argini pone la norma a eventuali abusi sulle Dat, messi in atto da familiari con pochi scrupoli desiderosi di preservare il patrimonio ereditario e – magari – di sollevarsi anzitempo da obblighi assistenziali molto spesso oggettivamente gravosi e condizionanti? Ben pochi, nel momento in cui dà valore anche a 'Disposizioni' redatte con pochissimi requisiti formali.

Stesse problematiche – ma forse con rischi ancor maggiori – presenta il disposto dell’articolo 2, comma 3, per cui, nel caso di persona inabilitata, «il consenso informato è espresso o rifiutato anche dall’amministratore di sostegno ovvero solo da quest’ultimo tenendo conto della volontà del beneficiario, in relazione al suo grado di capacità di intendere e di volere». Qui, nella sostanza, si dà potere di vita e di morte su una persona molto fragile – qual è quella sottoposta ad amministrazione di sostegno – a una figura che ancor più del caso precedente porta interessi potenzialmente in contrasto con la sopravvivenza della prima: l’amministratore di sostegno è infatti tenuto a redigere una dettagliata (e costosa, qualora ci si sia rivolti a un avvocato o altro professionista) relazione annuale sull’espletamento del suo incarico e sulle movimentazioni economiche, oltre a dover rivolgere un’istanza (anche in questo caso potenzialmente onerosa) al giudice tutelare ogniqualvolta si renda necessario un atto di straordinaria amministrazione. Molto spesso poi questa figura è anche un familiare, dunque erede. Circostanze tutte che avrebbero dovuto richiedere al legislatore un supplemento di attenzione. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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