giovedì 29 dicembre 2016
Il capo di Stato Maggiore della difesa di rientro da Misurata dove opera un ospedale da campo italiano: «Negli occhi dei feriti libici ho visto gratitudine verso il nostro Paese».
Graziano: Daesh arretra in Libia e in Iraq ma il terrorismo non è vinto
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Un anno in prima linea a promuovere la pace nel mondo e a garantire la sicurezza nel nostro Paese. Facendo un bilancio di questo 2016, da Capo di Stato maggiore della Difesa, il Generale Claudio Graziano si dice «fiero di aver servito un Paese che, come recita la Costituzione, ripudia la guerra».

Ma, allo stesso tempo – va avanti il generale citando a memoria la Carta – «consente limitazioni di sovranità a favore di Organizzazioni Internazionali che operano per la pace e la sicurezza nel mondo». È una premessa per spiegare la forza dell’ultima esperienza in terra libica. Graziano è appena rientrato da Misurata, dove i nostri militari impiegati nell’operazione 'Ippocrate', con personale dell’ospedale militare del Celio - hanno dato vita a una struttura sanitaria da campo per la cura dei combattenti libici feriti nelle battaglie contro il Daesh.

Allo stesso tempo, nostri medici militari collaborano con l’ospedale civile di Misurata a favore della popolazione civile. Nei casi più delicati sono stati trasferiti in Italia feriti libici che necessitavano di cure particolari. «Anche così contribuiamo a sconfiggere il terrorismo, combattendo con le armi della solidarietà e dell’azione umanitaria».

Che sensazioni si porta, da questa visita a Misurata?

Ho visto negli occhi delle persone che curiamo grande gratitudine per il nostro Paese. Siamo nel pieno di una nuova forma di guerra che richiede leve diverse da quelle tradizionali. E anche così, voglio ripetere la parola solidarietà, che si incrina, anzi si sgretola la propaganda di Daesh. Anche così si aumenta il consenso, essenziale nell’andamento delle operazioni. E nel contempo addestriamo il personale medico locale, perché possa essere poi in grado di fare da solo.

Nessuna colonizzazione, quindi.

Assolutamente no. Lo stesso cerchiamo di fare con i miliziani. Li aiutiamo a diventare un esercito, ad apprendere la disciplina, la gerarchia, l’organizzazione, il rapporto con le istituzioni civili e gli operatori umanitari. Quest’atteggiamento è fondamentale in tutto il mondo arabo, che percepisce come ingerenza attività non rispettose della loro autonomia. Ci aiuta la conoscenza antica che abbiamo di quei luoghi e popolazioni, ma la nostra presenza non è percepita come intrusiva. È questo vuol dire tantissimo.

Dalla Libia proviene gran parte dei migranti che sbarcano sulle nostre coste.

Il traffico di esseri umani è secondo per fatturato solo al traffico di stupefacenti, e i suoi utili vanno anche al finanziamento del terrorismo e della criminalità organizzata. Non è un fenomeno solo libico, ma certo, un Paese solido, a pochi chilometri dalle nostre coste, sarebbe di grande aiuto nel combattere una rete criminale che parte da vari paesi dell’Africa e del Medio Oriente.

La battaglia contro Daesh sta per essere vinta?

Sono importanti i risultati ottenuti sul piano militare, penso a Mosul, a Sirte e ad altre zone meno note ma ugualmente importanti. Il Califfato sta perdendo sul piano geografico, ma rimettere in sesto Paesi in crisi come l’Iraq o la Siria sarà un processo difficile. Ogni Paese ha una situazione diversa. In Libia ad esempio non c’è una divisione fra sunniti, sciiti, alawiti o wahabiti, ma economico-culturale, per tribù, nella quale Daesh tenta di inserirsi. Sarà una battaglia lunga, che ci terrà impegnati per i prossimi anni. Il terrorismo, come abbiamo visto, è in grado di rigenerarsi, di ripresentarsi sotto varie forme.

In Iraq la nostra presenza si è arricchita con la protezione della diga di Mosul.

La richiesta della coalizione internazionale e del governo iracheno nasce dall’esigenza di proteggere quest’importante infrastruttura e, al contempo, il personale di una ditta italiana impegnata a risanarla. La diga è un sito strategico per gli iracheni perché fornisce energia e acqua per l’agricoltura. Inoltre la sua distruzione provocherebbe danni gravissimi a gran parte dell’Iraq a causa delle ingenti quantità d’acqua che si riverserebbero.

In Libano, al comando della missione Unifil, siamo protagonisti di un cessazione delle ostilità che dura da 10 anni. Un piccolo miracolo, che lei conosce molto bene, avendola guidata.

Nel lasciare il comando di quella missione ONU dissi che Unifil può diventare ostaggio del proprio successo. Esser riusciti a garantire così a lungo la cessazione delle ostilità e le infiltrazioni del terrorismo potrebbe far desistere Libano e Israele a compiere il passo successivo verso la pace. Ma tutto il medio Oriente è in una situazione complicata, di confini contesi.

L’Italia è interlocutore riconosciuto da tutte le parti del processo di pace in Medio Oriente che registra enormi difficoltà. Un ampliamento del modello Unifil è ipotizzabile?

Noi siamo impegnati anche a Hebron con i nostri carabinieri nell’addestramento delle Forze di Sicurezza palestinesi, operazione fondamentale per prevenire le attività di terrorismo, ostacolo enorme nel decollo del processo di pace. I nostri militari hanno dimostrato in Libano di saper agire col consenso delle popolazioni e delle Autorità locali, e questo diventa nell’area un modello di riferimento.

E veniamo all’Afghanistan, terra di transizione infinita.

Anche lì l’offensiva di Daesh ha creato nuovi timori, dopo che la soluzione sembrava vicina. Il supporto alle forze afghane, però, sta dando risultati, A sinistra i lavori a Misurata in Libia per la realizzazione di una struttura sanitaria da campo posta in essere dai militari italiani, in cui operano sanitari dell’ospedale militare del Celio, in cui si è recato in visita martedì il generale Claudio Graziano. A destra uomini dell’Esercito in servizio a Visso, nelle Marche, in una mensa da campo in soccorso delle popolazioni terremotate. anche se c’è da tener conto di intrecci con problemi di traffico di stupefacenti e criminalità comune, che rendono necessario proseguire nell’attività di supporto. Sappiamo che sarà un lavoro ancora lungo.

Anche nei Balcani non ci si può ancora tirare indietro, così come continua l’impegno nel Corno d’Africa..
In un momento in cui si sono aggiunti problemi nuovi di foreign fighters in movimento e anche di criminalità comune, una nostra presenza, tanto nei Balcani quanto nel Corno d’Africa, in Kosovo e più in generale nell’area, è ancora importante per la sicurezza internazionale. Fra poco saremo attivi in zona anche con l’operazione Atlanta di anti-pirateria.

Torniamo in Italia. Il terremoto, il salvataggio dei migranti, la prevenzione anti-terrorismo. Tanti fronti di impegno aperti hanno rari precedenti.

7mila militari impegnati in 'Strade Sicure', quasi 2mila impiegati in attività di ricostruzione, di supporto alla popolazione e di anti-sciacallaggio nell’area del terremoto; altri 7mila nelle missioni internazionali, sempre più numerose, qualificate e diversificate fra loro, rappresentano insieme un impegno di cui vado fiero, e di cui deve andare fiero il nostro Paese.

C’erano tanti timori per l’Expo e per il Giubileo, ma a quanto pare, sin qui, l’Italia è stata risparmiata da attacchi.

Il controllo del territorio compete alle prefettura e alle forze di Polizia. Le Forze armate sono chiamate a collaborare con la loro professionalità e la loro capacità specifica. La presenza dei militari ha ampliato il senso di sicurezza, senza venir percepita come una militarizzazione del territorio.

C’è stata poi l’operazione di Sesto. Condotta in porto da due agenti che si erano formati entrambi nelle Forze Armate.

È così, entrambi si erano formati nel-l’Esercito e ci fa piacere che abbiano dato prova di grande professionalità, a conferma di una complementarità nel servire la comunità che c’è e ci deve essere fra militari e forze di polizia. La presenza dei militari ha permesso di liberare importanti risorse investigative delle Forze di Polizia e tutti insieme abbiamo reso possibile questo modello che ha dato buona prova di sé in un anno che noi consideriamo straordinario per le nostre Forze armate.

Un anno fa, probabilmente, c’erano tanti inconfessabili timori nell’intraprendere tante sfide.

Quando da Capo delle Forze armate condivido con l’Autorità politica il via alle operazioni sono sempre conscio dei rischi che si corrono. Oggi c’è di che essere fieri dei risultati conseguiti, mantenendo nel contempo un atteggiamento di costruttiva preoccupazione, senza abbassare la guardia e la soglia di attenzione.

Intanto, fra tanti impegni, va avanti un processo di razionalizzazione dei costi della Difesa e riduzione del personale.

È un processo che viene modulato nel Libro bianco della Difesa, che prevede maggiore collaborazione interforze e un processo di razionalizzazione che eviti duplicazioni, senza diminuire, anzi ampliando la capacità operativa. L’obiettivo è arrivare a regime nel 2024, evitando sprechi. L’elemento più importante della nostra organizzazione resta l’uomo. Nella componente operativa c’è da assicurare la presenza di personale giovane, attivando nel contempo un circolo virtuoso per risorse umane che possono ancora risultare utili in altri impieghi, anche in altri settori della Pubblica amministrazione. Una capacità organizzativa che, come accaduto anche nel terremoto, è a disposizione del Paese.

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