martedì 21 giugno 2016
​Amministrative, le pagelle ai principali protagonisti del voto. Virginia Raggi promossa con 7 e mezzo.
Roma, Torino, Milano: i programmi dei nuovi sindaci | M5S punta al voto: 3 mosse per Palazzo Chigi
Il dopo-voto: ecco i promossi e i bocciati
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Avvenire ha dato le pagelle ai protagonisti del voto amministrativo 2016. Ecco i promossi e i bocciati.   MATTEO RENZI                                                                 VOTO 5Il rottamatore finito vittima della voglia di cambiamentorenzi90CEF160620R_51585617.jpgDifficile dare al premier un voto superiore a 5. Che sia una sconfitta per lui e per il "suo" Pd lo ha onestamente ammesso, e questo è un merito che gli va riconosciuto rispetto ai "giochi di parole" usati in passato. Pesa la batosta a Torino. Nel "valzer impazzito" della politica va però ricordato che, alla vigilia, i timori peggiori erano per Milano, metropoli di ben altra caratura. Oggi, invece, passa quasi in secondo piano la vittoria di Sala (ancor più significativa perché si tratta dell’unico candidato veramente scelto da Renzi), mentre si tende ad amplificare l’insuccesso di Fassino che, pur previsto da pochi, in una logica di ballottaggio ci sta. Renzi ha parlato in generale (e con un pizzico di ingenerosità verso Fassino) di un «voto di cambiamento» più che di protesta, e questo potrebbe spiegare anche un successo minore, ma importante: quello a Varese (ex centrodestra), dove si è imposto però con un candidato di 39 anni. Quanto a Roma, era una partita già scritta da 8 mesi e semmai ci si continua a chiedere che senso abbia avuto quella "caduta" di Marino per arrivare a un epilogo simile. Una cosa è certa: da oggi Renzi non potrà più fregiarsi soltanto di essere il leader del Pd al 41% (Europee 2014). In molti sostengono che questo delle amministrative sia in buona parte un voto contro di lui: la verifica si avrà in ottobre, col referendum. Va atteso poi al varco dell’Italicum: ha sempre sostenuto che la legge elettorale andava bene così perché era fatta per «assicurare il governo del Paese, e non per il Pd». Cambiarla ora sarebbe una modifica "ad partitum"? Eugenio FatiganteBEPPE GRILLO                                                               VOTO 8Il Visionario arrivato a dama. Prova-verità per il Movimentogrillo90LapresseFo_51582679.jpgTutto ha funzionato e ogni intuizione di Beppe il Visionario oggi sembra giusta. La corsa in solitaria, il no a qualsiasi alleanza, la scommessa sulla legalità e su uomini (e donne) senza macchia, la forza della Rete rispetto a quella della popolarità dei candidati. È Grillo il vero vincitore e, per una volta, è d’accordo pure Matteo Renzi: «Questo è un voto di cambiamento, non di protesta». Il mondo intero parla della cavalcata dei Cinque Stelle e l’ex comico guarda il Movimento affacciato a una finestra di un hotel romano. Con le braccia aperte e il volto felice. Ha avuto ragione lui. Anche a fare un passo indietro, anche a guardare da lontano l’ultima campagna elettorale, anche a credere che M5S era pronto a camminare con le proprie gambe. Casaleggio non c’è più. A Grillo diamo un otto da dividere con il compagno d’avventura, con chi fu insieme a lui «tessitore di questa allucinazione». Ora però c’è tanto da dimostrare. Il Paese gli ha dato fiducia, ma il Paese sarà esigente, attento, capace di punire a posteriori come è stato capace di premiare, prima. Pizzarotti e Nogarin (oggi sindaci M5S a Parma e a Livorno) spesso hanno traballato. Ora aspettiamo le prime mosse di Raggi e Appendino. E pensiamo all’ultima sfida di Beppe. «Costringeremo i nostri avversari a diventare persone perbene». Un bel proposito. Ma oggi il Movimento ha responsabilità e ruoli. Tocca a loro, agli uomini e alle donne di M5S, di dimostrare nel concreto, giorno dopo giorno, che legalità e capacità di governo non erano solo un’allucinazione di Grillo e Casaleggio. Arturo CellettiVIRGINIA RAGGI                                                  VOTO 7½ Un gol capolavoro ma quasi a porta vuota raggi90cf160620f_51580343.jpgSiamo equi. Virginia Raggi ha stracciato gli avversari e gliene va dato atto. Ma più per i gravi demeriti degli altri che per meriti suoi. L’eredità che le lascia chi ha governato Roma sarà una zavorra terribile d’ora in avanti, quando dovrà cercare di risolvere i troppi guai della Capitale. Finora però è stata un impareggiabile assist per vincere le elezioni. Il gol è stato perfetto ma (quasi) a porta vuota. Per questo il nostro voto non è così «rotondo» come i numeri delle urne suggerirebbero. Nel contempo va riconosciuto che la prima donna sindaco di Roma, pur con qualche vaghezza e ambiguità programmatica, ha dimostrato di saper stare in campo e di tenere il punto: come ad esempio quando non ha sbandato sulle Olimpiadi («non sono un priorità») mentre un vasto schieramento politico-mediatico cercava di farla passare come una sorta di traditrice della patria. E anche quando ha tenuto botta al processo sommario delle ultime ore, in quello che qualcuno voleva (forse vorrà) far diventare un Civitavecchia-gate. Nicola Pini BEPPE SALA                                                                    VOTO 7
Bene, ma ha rischiato di dilapidare un capitaleMr. Expo, quansala3752016062000_51584432.jpgdo in dicembre annunciò la partecipazione alla corsa per Palazzo Marino dopo mesi di candidatura semiufficiale, sembrava destinato a raccogliere il timone da Pisapia in un voto giocato praticamente in solitaria. Reduce dagli indubbi successi dell’Esposizione universale 2015, manager moderato apprezzato da Renzi ma già city manager di Letizia Morattti, dopo la netta vittoria nelle primarie, con l’allora disorientato centrodestra milanese e il debole grillismo ambrosiano, doveva essere un uomo addirittura da successo al primo turno. Ma le cose sono andate ben diversamente. L’onda Pd si è indebolita, Milano – con Stefano Parisi – si è ricordata di essere la città di Silvio Berlusconi, e Giuseppe Sala detto Beppe ha dovuto sudarsi l’elezione a sindaco, anche a prezzo di accordi dell’ultim’ora con sinistra e radicali (che non lo amano), un possibile freno alla sua azione di governo. Competente, composto e riservato, per ora non ha scaldato i cuori. E adesso dovrà confrontarsi con la dimensione politica, che non è fatta solo di capacità gestionale. La tradizione di buon governo milanese lo aiuterà. Sta a lui aggiungervi qualcosa di personale. Andrea LavazzaCHIARA APPENDINO                                                         VOTO 9
La rimonta stile Juventus conquista i moderatiappendino90TOR160620A_51582660.jpgUna rimonta stile Juve. Deve averglielo suggerito Allegri come si fa. Lui da meno undici alla vetta del campionato. Lei da meno undici alla poltrona di Sindaco. Nel ballottaggio, Chiara Appendino, la "secchiona" che lavorava per i bianconeri, ha studiato bene la lezione, infilando una rete dopo l’altra, senza concedere nulla all’avversario. Tagliando la cinghia di trasmissione con cui il centrosinistra ha governato la città per decenni. Dalle periferie ai poveri, dalla Fiat al piccolo commercio, la pentastellata ha drenato prima il consenso piccolo-borghese e quello dei pensionati, poi ha fatto scivolare il sindaco sulle stime Caritas e infine lo ha trafitto sulla Tav, facendo breccia nell’intellighenzia e tra gli imprenditori. La sua vittoria è la più inattesa e cambia il volto di una città che fino a ieri aborriva i cambiamenti. Il suo segreto? Lasciare intendere che una ragazza così elegante e di buona famiglia non può aver nulla a che spartire con gli antagonisti eletti in Parlamento dal M5S. Il suo avversario ha commentato: «Resta da vedere se una maggioranza cosi eterogenea possa governare la città», ma in passato aveva detto anche: «Un giorno l’Appendino si segga su questa sedia e vediamo se sarà capace di fare tutto quello che oggi auspica». Paolo VianaMATTEO SALVINI                                                               VOTO 4
Rimasto al palo l'alfiere della destra lepenistasalvini90d30d5d1599_51584124.jpgMai avrebbe pensato, Matteo Salvini, di dover indossare la felpa di Cascina (in provincia di Pisa) per lenire le ferite di un ballottaggio avaro di soddisfazioni per la Lega new style, nazionale, a due cifre e con velleità di guida del centrodestra. Più che del solo Renzi, a ben vedere è la sconfitta dei due Matteo. Simul stabunt, simul cadent: per molti l’ascesa della destra lepenista nel centrodestra era la polizza assicurativa di Renzi e - guarda caso - ora che si appanna l’astro di Salvini, il Pd si trova a fare i conti (soccombendo ovunque vi si contrapponga) con un rivale, M5S, in grado di fargli molto più male. Fuori dal ballottaggio a Roma, defilato nella sconfitta con l’onore delle armi a Milano, in prima fila invece, Salvini, a Bologna dove Lucia Borgonzoni non riesce ad approfittare del trend femminile/anti-renziano di Roma e Milano. Città in cui la Lega aveva riportato al primo turno (rispettivamente) un impalpabile 3 e un flebile 11 per cento. E perde persino Varese. Diceva Bartali: «L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare!», nel dialetto fiorentino dell’altro Matteo. Ma vale per tutti e due. Angelo PicarielloROBERTO GIACHETTI                                              VOTO 6 -
È stato coraggioso, partiva già da sconfittogiachetti90LapresseFo_51575110.jpgAvrebbe meritato un 3 per il pronostico, visto che nell’intervista della scorsa settimana ci aveva preannunciato un finale al fotofinish... Ma in campagna elettorale è facile esagerare. Quindi 6 meno, perché più di così non poteva fare. Più di così probabilmente nessuno poteva fare, a Roma, con il marchio del Pd. E non è servito tenerlo ben nascosto nei manifesti elettorali: per la maggior parte dei romani il Pd cittadino andava punito e non solo per gli appalti di Buzzi e le cronache di "mafia capitale". Dal 1993, con la sola parentesi del quinquennio Alemanno (2008 al 2013), il feeling del centrosinistra con la popolazione è andato affievolendosi in maniera inversamente proporzionale all’aumento delle buche stradali, dell’immondizia non raccolta, del disastro del trasporto pubblico. Giachetti, che fa politica da 35 anni, sapeva benissimo che la città voleva voltare pagina. Rumorosamente, alla romana. Perciò gli va riconosciuto di averci messo la faccia mentre tutti scappavano. E veniamo al "meno" vicino al 6: ha puntato su due cavalli sbagliati, non si può pensare di riconquistare i romani con le Olimpiadi del 2024 e lo stadio della Roma. Danilo PaoliniSTEFANO PARISI                                                          VOTO 7+
Il perdente "vincitore morale" per efficaciaparisi90DSF1906169_51575883.jpgHa perso, certo. Ma con onore. Con un ossimoro, lo si potrebbe definire lo «sconfitto vincitore morale». Tanto da meritare un 7 più. Ci ha creduto, Stefano Parisi. E con lui poco meno di mezza Milano che lo ha sostenuto fino al 48,30%. Le sue preferenze, 30mila in più rispetto al primo turno, le ha dovute conquistare una per una, mentre al centrosinistra arrivavano quasi per inerzia le adesioni della sinistra e dei radicali. Soprattutto, a differenza di altri candidati, non ha potuto godere dell’aiuto esterno degli elettori a 5 stelle. Di Parisi sono piaciuti la concretezza, lo stile in campagna elettorale senza colpi bassi all’avversario e quel puntare forte sulla sussidiarietà. Buona anche la prova di autonomia dai partiti della coalizione (anche se manca la prova dei fatti). Cosa ha sbagliato? Lui poco – nei confronti risultava vincente per efficacia – ma ha pagato l’incombente ombra di Salvini e, forse, l’etichetta di ex di Confindustria. Su di lui si appuntano ora le attenzioni per un ruolo nazionale. Però non è solo una partita diversa, ma proprio un altro sport. E non è detto che Parisi vi sia portato. Francesco RiccardiPIERO FASSINO                                                               VOTO 5La sconfitta politica del sindaco "cattivo profeta"fassino90LapresseFo_51575379.jpgSfiora la sufficienza, e il suo 5 è senz’altro il meno "colpevole" di tutti. Piero Fassino è arrivato al ballottaggio il 5 giugno con il 41,22, contro il 31,45 della sua avversaria Appendino. Si è candidato dopo diverse resistenze, perché il vertice del Pd aveva insistito. Il bilancio della sua esperienza da sindaco di Torino era stato più che sufficiente e tanto bastava a Largo del Nazareno. Lascia una città da 7, e la sua sconfitta è molto politica, come analizza in prima persona: «Il centrodestra ha votato in blocco M5S» per non perdere «l’occasione ghiotta di far perdere il centrosinistra dopo 23 anni». Ma l’ex segretario Ds non riesce a sfondare neppure in quella sinistra che si è spaccata al primo turno e al secondo ha votato la sua avversaria. Per capacità di parlare agli operai meno di 5. Ancora più basso il voto in termini di previsioni: Fassino aveva sfidato Appendino a «sedersi su questa seggiola» – ovvero lo scranno da sindaco – per far «vedere cosa sa fare». Sembrava una provocazione, come quella analoga con cui sfidò Grillo a «farsi un partito». Roberta d’AngeloLUIGI DE MAGISTRIS                                              VOTO 6½ Ambizioso e capopopolo, pesa l'astensione-recorddemagristris90nplprss201_51584876.jpgChi stravince ha sempre ragione. Ha ancora più ragione perché di solito il sindaco uscente gioca in difesa, lui invece ha usato uno schema offensivo come fosse lo sfidante. Del resto già ha governato cinque anni come fosse ancora l’outsider. E esce dal ballottaggio come il terzo affamato outsider nazionale rispetto a Renzi. È il come ha stravinto, però, che abbassa il voto. Le offese e le parolacce in piazza (non perché il destinatario fosse il premier, ma perché la città già cova rabbia sociale di suo). Il richiamo a uno stereotipo della "napoletanità" che a volte è stato più un freno allo sviluppo della città che benzina nel motore. Un progetto politico "autonomista" che rischia di lacerare ulteriormente i rapporti istituzionali e la dialettica Nord-Sud. Ma, soprattutto, non si può dare più della sufficienza larga al nuovo sindaco di Napoli se, alle urne, va appena il 36 per cento dei cittadini. A maggior ragione se ti auto-nomini portabandiera di una «nuova ondata di partecipazione dal basso». Di fronte a questo record allarmante nessuno può concedersi il lusso di fare il giro di campo con la coppa in mano. Marco Iasevoli

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