Un gruppo di migranti intercettati in acque internazionali attorno all'Italia mentre sbarca dalla nave della Marina Militare Italiana "Libra" a Shengjin, Albania, lo scorso 8 novembre - Reuters
«I criteri per la designazione di uno Stato come Paese di origine sicuro sono stabiliti dal diritto dell’Unione europea». Pertanto, «ferme le prerogative del legislatore nazionale, il giudice ha il dovere di verificare la corretta applicazione del diritto dell’Unione, che, notoriamente, prevale sulla legge nazionale ove con esso incompatibile, come previsto dalla Costituzione italiana». È uno dei passaggi annotati dai giudici della XVIII sezione immigrazione del Tribunale civile di Roma, presieduta da Luciana Sangiovanni, che ieri si sono pronunciati sul trattenimento di altri 7 migranti, trasferiti da nave Libra in Albania venerdì. Nel solco di altre analoghe decisioni dei loro colleghi di Bologna e di Catania, i magistrati hanno sospeso il provvedimento di convalida dei trattenimenti, per rimettere il caso alla Corte di giustizia europea. In serata, il ministero dell’Interno ha fatto sapere che si costituirà di fronte alla Corte di giustizia europea, per sostenere le proprie ragioni.
I 7 migranti riportati in Italia nella notte
La decisione riguarda 7 migranti, di nazionalità egiziana e bengalesi trasferiti nei giorni scorsi nel centro di permanenza per il rimpatrio a Gjader, in Albania. Ma ieri sera, dopo la decisione, sono stati messi a bordo della motovedetta Cp400 della Guardia Costiera con destinazione Italia (prima il porto di Brindisi e poi forse il Cara di Bari).
I quesiti dei giudici all’Ue
Nelle proprie valutazioni, i magistrati del tribunale romano hanno formulato quattro quesiti (come avevano fatto nei giorni scorsi pure due collegi della stessa sezione in sede di sospensiva dei provvedimenti di rigetto di domande di asilo). Il rinvio pregiudiziale -si legge - «è stato scelto come strumento più idoneo per chiarire vari profili di dubbia compatibilità con la disciplina sovranazionale emersi a seguito delle norme introdotte» dall’ultimo decreto sui Paesi sicuri, che ha adottato una interpretazione del diritto Ue e della sentenza della Corte di giustizia del 4 ottobre scorso «divergente da quella seguita da questo Tribunale nei precedenti procedimenti». Tecnicamente, il provvedimento «rimette alla Corte di giustizia dell’Unione europea» il caso e «sospende il presente giudizio di convalida del fermo». Una valutazione di cautela rispetto alla netta bocciatura di altri trattenimenti a ottobre. Non c’è la controprova, ma sulle ripetute decisioni di rimettere la questione all’Europa potrebbe aver pesato anche la volontà di non fare da antenna per i fulmini delle forze di governo, in un clima che - dopo il congresso di Magistratura democratica domenica - resta ancora teso fra l’esecutivo e la magistratura associata. «I magistrati fanno il loro mestiere e non c’è nessuna invasione di campo. Spero non ci siano altre bufere, non c'è ragione di sollevarne», ragiona il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia. E il segretario dell’associazione, Salvatore Casciaro, sottolinea come la «primazia del diritto Ue è un’architrave e i magistrati fanno il loro dovere».
L’ira della Lega, le repliche delle opposizioni
Nella Lega, che da mesi scaglia strali al curaro contro i «giudici comunisti» accusati di rallentare l’azione dell’esecutivo, monta subito l’ira. Per il vicepremier Matteo Salvini, è «un’altra sentenza politica non contro il governo, ma contro gli italiani e la loro sicurezza. Governo e Parlamento hanno il diritto di reagire per proteggere i cittadini, e lo faranno». Sempre che, prosegue Salvini, «qualche altro magistrato, nel frattempo, non mi condanni a sei anni di galera per aver difeso i confini». Il ricferimento è al processo in corso a Palermo sulla vicenda Open Arms, avvenuta quando il segretario leghista era ministro dell’Interno. Poi agita lo spauracchio delle riforme: «Ora questi sette torneranno in Italia liberi di camminare. Ma se uno di loro compie un reato, spaccia, stupra, scippa o ammazza, chi ne dovrebbe rispondere? È arrivato momento di approvare la separazione carriere e la responsabilità civile personale dei giudici che sbagliano, ma pagando di tasca propria». Il resto del partito gli dà man forte: «I magistrati hanno passato il segno» e «stanno dimostrando di essere fuori legge», dice il senatore leghista Claudio Borghi. Frecciate pure da Forza Italia, col vicepremier Antonio Tajani («Alcune toghe impongono la loro linea al governo, non è accettabile») e il capogruppo in Senato Maurizio Gasparri («Una scelta eversiva») e da Fdi, con Salvo Sallemi (»Un altro blitz delle toghe rosse, una crociata immigrazionista, ma il governo non arretrerà»). Ma dalle opposizioni si alza un coro di repliche: «Sull’Albania siamo di fronte a uno spot elettorale da 800 milioni per le tasche degli italiani - argomenta il senatore del Pd Alessandro Alfieri -. Il governo ci ripensi e venga in Aula ad ammettere la sconfitta».