Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella - Ansa
Le Foibe e l’esodo giuliano dalmata furono «un trauma doloroso per la nascente Repubblica, una tragedia, che non può essere dimenticata». Si celebra al Quirinale la Giornata del Ricordo e Sergio Mattarella li inserisce fra le «pagine buie della storia, che sembrano volersi riproporre».
L’«antidoto» è l’Europa, che ha fatto cadere «il nostro “muro di Berlino”, che passava per il confine orientale, per la cortina di ferro che separava in due Gorizia, allontanando e smembrando territori, famiglie, affetti, consuetudini, appartenenze». Mattarella davanti a un centinaio di testimoni diretti e vittime di quella pagina nera, chiede di «non rimanere prigionieri di inimicizie, rancori e dannose pretese di rivalsa» e rimette in fila le responsabilità storiche: «Affiancati, a pochi chilometri di distanza - in una lugubre geografia dell’orrore - due simboli della catastrofe dei totalitarismi, del razzismo e del fanatismo ideologico e nazionalista: la Risiera di San Sabba, campo di concentramento e di sterminio nazista, e la Foiba di Basovizza, uno dei luoghi dove si esercitò la ferocia titina contro la comunità italiana». Luogo in cui, tre anni fa, Mattarella si era recato in visita, tenendosi per mano con il presidente sloveno Pahor, una cerimonia che per la prima volta registrò la presenza di un presidente della ex Jugoslavia a rendere omaggio alle vittime italiane delle Foibe. Lo ha definito «il momento più alto» il ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha preso la parola a nome del governo, presente in gran numero: la premier Giorgia Meloni in prima fila era seduta accanto al capo dello Stato, i ministri, oltre a Tajani, Piantedosi, Sangiuliano, Crosetto, il sottosegretario Mantovano. I presidenti della Corte Costituzionale Barbera, del Senato, Ignazio La Russa, i vicepresidenti della Camera Giorgio Mulé e Fabio Rampelli, le altre autorità presenti.
Il professor Giuseppe De Vergottini, presidente della Federazione delle Associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati, nel ricordare i 20 anni dalla istituzione della Giornata del Ricordo, aveva parlato di «non casuale» ritardo. Una decisione, ricorda Mattaralla, «deliberata dal Parlamento a larghissima maggioranza», che pose fine a «un muro di silenzio e di oblio – un misto di imbarazzo, di opportunismo politico e talvolta di grave superficialità – intorno alle terribili sofferenze di migliaia di italiani, massacrati nelle foibe o inghiottiti nei campi di concentramento, sospinti in massa ad abbandonare le loro case, i loro averi, i loro ricordi, le loro speranze».
Mattarella ricorda le colpe dei contrapposti totalitarismi dello scorso secolo. Le popolazioni italiane di quelle terre «si videro negate le aspirazioni alla libertà, alla democrazia e all’autodeterminazione dall’instaurazione della dittatura comunista, imposta dall’Unione Sovietica», ma ricorda anche che «il nostro Paese, per responsabilità del fascismo, aveva contribuito a scatenare una guerra mondiale devastante e fratricida». Ricorda le colpe del fascismo in quelle zone, chiarisce però che «la ferocia scatenatasi contro gli italiani non può essere derubricata sotto la voce di atti, comunque ignobili, di vendetta o giustizia sommaria contro i fascisti occupanti; il cui dominio era stato – sappiamo - intollerante e crudele per le popolazioni slave, le cui istanze autonomistiche e di tutela linguistica e culturale erano state per lunghi anni negate e represse».
Per di più, questi nostri concittadini dovettero «provare sulla loro sorte la triste condizione di sentirsi esuli nella propria Patria. Fatti oggetto della diffidenza, se non dell’ostilità, di parte dei connazionali, accusati indistintamente di complicità e connivenze con la dittatura, a rimuovere, fin quasi a espellerla, la drammatica vicenda di quegli italiani dal tessuto e dalla storia nazionale». In realtà, ricorda Mattarella «le torture commesse contro gli italiani in quelle zone colpirono funzionari e militari, sacerdoti, intellettuali, impiegati e semplici cittadini che non avevano nulla da spartire con la dittatura di Mussolini. E persino partigiani e antifascisti, la cui unica colpa era quella di essere italiani».
Di vera e propria «pulizia etnica» ha parlato Tajani, che ha ricordato anche le tante persone assassinate nelle foibe «in odium fidei», a partire da don Francesco Bonifacio, proclamato beato da Benedetto XVI.
Ci sarebbe oggi da riaprire il cuore alla speranza, Mattarella ricorda Gorizia – come aveva fatto anche Tajani – «città simbolo della divisione, oggi associata - grazie a una generosa intuizione della Slovenia - a Nova Gorica: due città, due Stati, una sola capitale della cultura europea 2025». L’«antidoto» Europa ha fatto sì che oggi «con Slovenia e Croazia coltiviamo e condividiamo i valori della democrazia, della libertà, dei diritti. E lavoriamo insieme per la pace, lo sviluppo, la prosperità dei nostri popoli, amici e fratelli».
Senonché, «assistiamo con angoscia al risorgere di conflitti sanguinosi, in nome dell’odio, del nazionalismo esasperato, del razzismo. Dall’Ucraina al Medio Oriente ad altre zone del mondo, la convivenza, la tolleranza, la pace, il rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale sono messi a dura prova». Bisogna allora «consolidare e sviluppare sempre di più» quell’antidoto, e «lavorare alacremente, a livello europeo, perché anche gli altri Paesi dei Balcani Occidentali candidati all’ingresso nell’Unione possano compiere le procedure di adesione senza indugi o ritardi».