Andrea Giambruno - IMAGOECONOMICA
E il First Gentleman scivolò sul lupo. Quello cattivo delle favole, pronto a ghermire l’ingenua Cappuccetto rosso che, sciocchina, non aveva riconosciuto zanne e artigli sotto la camicia da notte della nonna. Il giornalista Mediaset, nonché compagno della prima premier donna che il nostro Paese abbia mai avuto, in diretta tv e poi, a buoi scappati dalla stalla, ha cercato di rimediare dicendo che le sue parole sono state strumentalizzate e che considera “bestie” gli stupratori e “abominevoli” le violenze.
Ma la frase al centro delle polemiche politiche e social offre alcuni elementi di riflessione, anche perché si tratta di un pensiero assai più comune e diffuso di quanto si possa immaginare. Ecco cosa ha detto Andrea Giambruno a “Diario del giorno” su Rete 4: “Se vai a ballare, tu hai tutto il diritto di ubriacarti - non ci deve essere nessun tipo di fraintendimento e nessun tipo di inciampo - ma se eviti di ubriacarti e di perdere i sensi, magari eviti anche di incorrere in determinate problematiche perché poi il lupo lo trovi".
Primo punto: se si sta parlando di ragazze stuprate, questo richiamo non assomiglia a un invito alla prudenza, ma a una condanna per concorso di colpa. Un giornalista ha delle responsabilità in più rispetto all’uomo comune che discute con gli amici al bar: le sue parole possono diventare riferimento per molti. Allora dire alle ragazze, in una discussione sullo stupro, “evitate di bere”, nella testa di tanti - se non in quella di Giambruno che ha rifiutato con vigore ogni critica – diventa: “Perché se poi ti violentano, be’, un po’ te la sei cercata”. Vecchia storia, quella della vittimizzazione secondaria, che non vorremmo sentire mai più.
Secondo punto: richiamare l’immagine del lupo significa avallare l’idea che “la carne è carne”, che l’universo è popolato da giovani maschi sfrenati, incapaci di controllare le proprie pulsioni e che, in fondo in fondo, è normale così. “Il lupo lo trovi”, insomma, perché in ogni angolo c’è un predatore (attenzione: non “potresti trovarlo”, ma “lo trovi”, come se fosse un fatto ineluttabile).
Terzo punto: è intollerabile che in vicende di stupro si accendano i riflettori sulle vittime (la vecchissima storia del “com’era vestita” oggi è diventata “quanto aveva bevuto”). Su di loro dovrebbe scendere il silenzio (sì, anche in tivù) e di loro restare solo il dolore e la necessità di ottenere giustizia. Si esamini piuttosto la "cultura" di cui sono portatori gli stupratori: la volontà di sottomettere, prevaricare ed esercitare un potere sulle donne, la loro riduzione a oggetto, l’affermazione della legge del più forte. Il sesso non c’entra, lo dicono gli esperti. C’entra una sottocultura che resiste a qualsiasi progresso femminile, una misoginia sotterranea che serpeggia in mondi diversi tra loro: da quello periferico e chiuso degli hinterland malavitosi metropolitani a quello ultramondano ed elitario delle Ztl.
Ai nostri figli, è ovvio, impartiamo lezioni di prudenza e raccomandiamo di non bere troppo e di non percorrere strade buie. Vale per tutti, maschi e femmine, perché alzare il gomito danneggia la salute, fa perdere il controllo degli eventi e perché nei vicoli scuri ci possono essere malitenzionati. Di fronte a uno stupro però occorre evitare commenti inopportuni o non ponderati a fondo: la violenza purtroppo viene inflitta a ragazze sobrie e ubriache (e questo secondo caso per la legge italiana non è una attenuante bensì una aggravante), di giorno di notte, da parte di uno solo o di più bruti, alle guardinghe e alle fiduciose, alle scollate e alle abbottonate.
Di fronte a uno stupro, anziché raccomandare prudenza alle ragazze, parliamo piuttosto di rispetto ai ragazzi. Anziché instillare la diffidenza alle ragazze, spieghiamo il valore del consenso ai ragazzi.
Ed esigiamo, tutti insieme, una società in cui una giovane che malauguratamente si ubriachi non trovi accanto a sé un lupo cattivo, ma un amico, o anche uno sconosciuto, che la riporti subito a casa.