M5S fa quadrato intorno alla sindaca di Roma, Virginia Raggi, dopo le polemiche su presunte irregolarità nei moduli di raccolta delle le firme per la sua candidatura. La stessa Raggi promette «ulteriori accertamenti e verifiche», ma, assicura, «non c'è alcuna irregolarità». Per il Movimento 5 Stelle di Roma, in un post pubblicato sulla sua pagina Facebook, che viene rilanciato anche via twitter da Beppe Grillo «tutte le firme raccolte a Roma per la presentazione della lista di Virginia Raggi sono autentiche e autenticate. Mettetevi l'animo in pace:: la Raggi è legittimamente sindaco di Roma votata da più di due terzi degli elettori romani».
L'accusa. Il caso è stato sollevato dalla trasmissione televisiva "Le Iene" in un servizio andato in onda ieri. Secondo Alessandro Onorato, consigliere comunale per la Lista Marchini, interpellato nel servizio, ci sarebbe un'incongruenza nei tempi, perché 1.350 firme di cittadini a sostegno della candidatura Raggi risulterebbero autenticate il 20 aprile 2016, tre giorni prima di quello fissato per la raccolta. Inoltre, Onorato mette in evidenza anche che i cancellieri utilizzati (dieci) sarebbero troppo pochi rispetto alle firme raccolte. Tanto che ironizza sul fatto che i pentastellati abbiano non solo «doti di preveggenza», ma anche «la dote dell'ubiquità». La trasmissione ha inseguito la sindaca fin sull'Alpe di Siusi, dove si trovava in vacanza. Per i legali del movimento, Alessandro Canali e Paolo Morricone, non ci sono irregolarità. Si tratta, assicurano di un «atto a formazione progressiva» che, spiegano, «come prevede la legge si può aprire prima della raccolta delle firme, lasciando alcune parti in bianco che verranno compilate in un secondo momento». Una difesa che viene contraddetta dall'Ufficio servizi elettorali del Ministero dell'Interno e dall’esperto di diritto amministrativo, Bruno Santamaria: «La legge non prevede assolutamente questo». Il M5S ricorda, però, un precedente stabilito dal del Tar del Friuli Venezia Giulia nel 2006, secondo il quale «è del tutto inconferente, ai fini della regolarità delle operazioni elettorali, che l'autenticazione delle firme dell'atto principale sia antecedente a quella delle firme contenute negli atti separati».
La polemica. Le accuse arrivano da destra e da sinistra. Con il Pd in prima fila, che parte all’attacco con richieste di trasparenza e chiarimenti da parte di numerosi esponenti romani e nazionali. A stoppare l'offensiva è l’ex segretario Matteo Renzi: «Non facciamo noi i grillini. Non inseguiamoli nel loro terreno finto moralista e molto doppiogiochista». A partire alla controffensiva è Luigi Di Maio: «Come sempre il Pd interviene senza guardare in casa propria», dice, rassicurando i suoi sul fatto che «ci aiuteranno ad arrivare prima al 40%».
I precedenti. Sono atri due i casi in cui esponenti del M5S sono finiti nei guai per vicende legate a presunte irregolarità nella raccolta delle firme per candidature elettorali. A Palermo e Bologna le indagini sono già state chiuse, ma il gip deve ancora decidere se archiviare o rinviare a giudizio. I Cinque Stelle coinvolti, comunque, o sono stati sospesi dal collegio dei probiviri, come nel caso di Palermo e dei deputati palermitani coinvolti - Riccardo Nuti, Claudia Mannino e Giulia Di Vita - o si sono autosospesi come nel caso del consigliere M5S Marco Piazza, vicepresidente del Consiglio comunale di Bologna.