L'imbarco di decine di afgani su un aereo militare spagnolo all'aeroporto di Kabul - Ansa/Epa - Ministero della Difesa spagnolo
In Europa si iniziano a socchiudere le porte e in Italia si continua a litigare. A Bruxelles il tempo della commozione per le scene da Kabul sembra già sul punto di finire. Alla riunione "a distanza" tra i ministri Ue dell’Interno, la commissaria europea all’Immigrazione, Ylva Johansson, inizia a tratteggiare una strategia per cui «non dobbiamo aspettare che le persone arrivino alle frontiere esterne dell’Ue». Sul fronte dell’accoglienza, l’ipotesi di lavoro della Commissione è quella di bloccare i rimpatri forzosi degli afghani perché «il Paese non è sicuro» (una pista operativa cui si oppone l’Austria) e far crescere lo sforzo degli Stati per i «reinsediamenti» con priorità ai più vulnerabili, donne e ragazze (e Bruxelles è pronta a stanziare risorse aggiuntive).
Sul fronte invece della prevenzione di una pressione massiccia sui confini del Vecchio Continente, e in considerazione del fatto - avverte Johansson - che «tutti gli scenari sono possibili», l’idea è aiutare il più possibile gli afghani "a casa loro" o nei Paesi confinanti in cui si sposteranno (soprattutto Pakistan, Iran, Tagikistan e Turchia) attraverso missioni umanitarie e azioni di supporto agli Stati che accoglieranno.
Alla riunione - a cui ha partecipato in videoconferenza la ministra Lamorgese -, inizialmente convocata dalla presidenza slovena per affrontare il dossier bielorusso, la preoccupazione per quanto sta accadendo in Afghanistan ha preso il sopravvento. «Bisogna impedire alle persone di dirigersi verso la Ue passando per rotte insicure, irregolari e incontrollate», spiega Johansson.
La bozza di tabella di marcia prospettata da Bruxelles sembra coincidere con le dichiarazioni di Macron e Merkel, che con le elezioni in avvicinamento vogliono evitare nuove crisi migratorie. Merkel, in particolare, vedrebbe nel Pakistan (già rifugio per 3,5milioni di afghani), il candidato principale per accogliere quanti sono in fuga da Kabul e ricevere gli aiuti europei per una cifra da quantificare.
Ancora non è chiaro se il modello possa essere quello già sperimentato con la Turchia. Se ne tornerà a parlare nella girandola di riunioni delle prossime ore, a partire dal G7 dei ministri degli Esteri di oggi a cui parteciperà il capo della Farnesina, Luigi Di Maio. Si proseguirà con l’incontro convocato domani dal segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e poi una nuova riunione in ambito Ue, a cui la presidenza slovena sta già lavorando.
Allo stesso tempo si terrà un incontro virtuale, a giorni, del G7. Ne hanno parlato ieri a telefono Mario Draghi e il premier britannico, Boris Johnson. Il leader inglese ha illustrato una strategia «in cinque punti» per «sostenere il popolo afghano e contribuire alla stabilità regionale, evitando una tragedia umanitaria». Anche Palazzo Chigi parla di una strategia comune tra G7 (a presidenza inglese) e G20 (a presidenza italiana) «a difesa dei diritti umani e delle libertà fondamentali nel Paese».
Sul fronte italiano il dossier-accoglienza si affronta però in uno stato di lite permanente tra Enrico Letta e Matteo Salvini. Una lite da cui il premier Mario Draghi sembra volersi tenere a distanza. Palazzo Chigi resta concentrato con la Difesa e la Farnesina sul processo di evacuazione: ieri a Fiumicino è atterrato un secondo aereo con 85 persone a bordo, in serata sono partite altre 97 persone e oggi ne arriveranno ulteriori 103, compresa l’attivista Zahra Ahmadi e il personale della fondazione Veronesi. Si tratta in gran parte, spiega il titolare della Difesa Lorenzo Guerini, di collaboratori afghani e dei loro familiari. Il piano di partenza prevedeva 670 persone da salvare in Italia, ma con l’escalation degli ultimi giorni la lista sembra essersi almeno triplicata.
Nonostante il difficile e rischioso lavoro in corso, sull’accoglienza in maggioranza continuano le tensioni. Da un lato Enrico Letta fa partire la mobilitazione del Pd per dare asilo ai rifugiati in Italia e lancia la sottoscrizione («a partire da dirigenti e parlamentari») per le Ong che restano nel Paese. Dall’altro Matteo Salvini avverte: «Corridoi umanitari per donne e bambini in pericolo certamente sì. Porte aperte per migliaia di uomini, fra cui potenziali terroristi, assolutamente no».