mercoledì 6 giugno 2012
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C'è un’Emilia che è crollata e una che prova a ripartire. In fretta, a volte anche troppo. Per la Cgil – che ha segnalato il fatto alla procura di Modena – alcune aziende dell’area terremotata che cercherebbero «di bypassare l’ordinanza della Protezione civile» – quella che impone alle fabbriche di non riavviare l’attività in assenza della certificazione di agibilità antisismica. Il sindacato, nello specifico, punta il dito contro la Forme Physique di Carpi (Modena), che ha fatto firmare ai dipendenti una liberatoria in cui chi decide di tornare al lavoro «libera la proprietà da qualsiasi responsabilità penale e civile». Un documento dalla dubbia validità, dal momento che il datore di lavoro è per legge il responsabile della sicurezza nell’azienda, senza possibilità di rinuncia o delega generalizzata dell’onere.Contattata, la titolare di Forme Physique, Paola Zerbini, è furiosa e nega ogni addebito. «Io non ho fatto firmare quel documento, evidentemente qualcuno ha capito male – ha detto –. Proprio stamattina ho detto ai lavoratori che chi vuole venire a lavorare può venire e chi non vuole può stare a casa. E anche che la responsabilità resta mia, nonostante il nostro tecnico abbia dichiarato l’agibilità del capannone, dove siamo in affitto. Stiamo facendo di tutto per tenere aperto, eravamo pronti a portare i container ma i dipendenti hanno detto che si sentivano sicuri così. Non capisco, ci rivolgeremo a un avvocato», conclude. Il senso di quella lettera, spiegano dalla ditta che produce abbigliamento, non è quello che vi ha letto il sindacato. «Quella liberatoria è stata mal interpretata», ribadisce la consulente del lavoro dell’azienda, Cosetta Bergonzini. Gli stessi dipendenti, 13, sarebbero “sbigottiti” e si starebbero muovendo per chiedere una sorta di smentita alla Cgil. «L’azienda ha i locali in affitto e quella era una liberatoria pensata per declinare la responsabilità del proprietario del capannone, non certo quella del datore di lavoro che non viene mai meno», spiega Bergonzini. La Cgil però insiste con Antonio Mattioli, responsabile delle Politiche industriali della Cgil dell’Emilia-Romagna. «Oltre a questo caso, l’unico di cui avevamo in mano un documento scritto, ho ricevuto segnalazioni su altre cinque aziende, tre nel modenese e due del reggiano al confine col modenese».Confindustria Modena, dal canto suo, ha smentito che vi sia più di un caso e ha stigmatizzato con forza il caso accertato. Il presidente nazionale Giorgio Squinzi è intervenuto in modo chiaro: «Bisogna ripartire subito ma in sicurezza». Se è vero che il fenomeno delle liberatorie è limitato, la situazione – per quanto riguarda la ripresa delle attività produttive – è decisamente caotica. «C’è di tutto – spiega Roberto Giardiello, responsabile della Cisl di Carpi –. Imprenditori che tengono chiuse le fabbriche per prudenza, altri che non vogliono rinunciare alla produzione e convincono i lavoratori a tornare, credo più per una sottovalutazione del rischio che per malafede. Il titolare di una ditta ha perfino passato la notte in un capannone per convincere gli operai della sicurezza del luogo di lavoro». Giardiello, il giorno dopo la seconda forte scossa, ha visitato varie fabbriche del posto: «In alcune c’erano solo i titolari. In altre, solo i dipendenti. Senza spiegazione logica e soprattutto senza controlli». La totale incertezza sul destino di una delle regioni più produttive d’Italia non aiuta: «Credo che per qualche giorno le fabbriche possano restare chiuse, la sicurezza viene prima di tutto – ribadisce il responsabile della Cisl di Carpi –. Dopo, però, serve chiarezza. Se le disposizioni della Protezione civile venissero interpretate in modo restrittivo, l’Emilia rischierebbe di trasformarsi in un deserto: di fatto, solo nei capannoni costruiti negli ultimi due-tre anni si potrebbe riprendere l’attività».
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