La premier Meloni al vertice di Tripoli - undefined
«I migranti illegali sono nemici di quelli legali», argomenta la premier italiana Giorgia Meloni, intervenendo a Tripoli nel corso del Trans-Mediterranean Migration Forum. La presidente del Consiglio è in Libia per la terza volta, accompagnata dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. E di fronte alle delegazioni di diversi Paesi mediterranei e subsahariani, ribadisce le convinzioni del suo esecutivo: «Negli ultimi anni in Italia non abbiamo potuto consentire di venire a molti migranti legali, perché ne avevamo troppi irregolari. Le organizzazioni criminali vogliono decidere loro chi ha diritto di entrare nel nostro Paese e chi no - afferma -. Il mio governo ha varato decreti flussi per tre anni, ampliando le quote (portate a 452mila ingressi per lavoro, ndr), anche e soprattutto per le nazioni che ci aiutano a combattere contro i trafficanti di esseri umani». Quote premiali, insomma, come una mano tesa, in cambio di una maggior sintonia nel controllo dei flussi e nella gestione dei rimpatri volontari assistiti.
Barra ferma sulla cooperazione
Dunque, a quasi due anni dall’insediamento del suo governo, sul travagliato fronte delle politiche migratorie, la premier tiene ferma la barra sulla rotta prefissata. Il progetto, ribadito a Tripoli da lei e dal ministro Piantedosi resta quello di passare da «una cooperazione tattica tra singoli Paesi» (inaugurata dalle intese con la Tunisia e con l’Albania, che provano a “esternalizzare” parte della gestione dei flussi) a «un approccio regionale strategico», che allarghi lo scenario del dialogo ad attori sovranazionali: l’Unione Europea da un lato e quella dei Paesi africani dall’altro. Una «azione comune» di cui parla pure il titolare dell’Interno: «L’obiettivo comune da perseguire non è alleggerire la situazione migratoria dell'Italia o dell'Europa, la nostra ambizione deve essere quella di creare le condizioni per una riduzione di carattere regionale dei flussi illegali a beneficio di tutti i Paesi», osserva. Nei fatti, la scelta di mettere attorno a un unico tavolo, come avvenuto ieri nel Forum, i Paesi dell’area Mediterranea, quelli dell’Africa Subsahariana, la Commissione europea (rappresentata a Tripoli dal vicepresidente greco uscente Margaritis Schinas ) e le organizzazioni internazionali , replica il modello messo in campo dalla Conferenza di Roma del luglio 2023 e dal decantato Piano Mattei. E combacia con l’indirizzo scelto, 9 mesi fa a Bruxelles, in occasione del lancio di una «Alleanza Globale» per contrastare il traffico di migranti.
La Tunisia invoca altri fondi Ue
Finora, statistiche alla mano (ma con ricadute da valutare sul piano dei diritti umani per chi fugge da conflitti o persecuzioni), l’approccio degli accordi pare aver retto. In Italia, ad esempio, il calo di migranti sbarcati è evidente: 30.624 da gennaio, secondo il Viminale, contro i 79.246 dello stesso periodo dell’anno precedente. Ma la situazione potrebbe non reggere a lungo, perché il sistema tiene finché Roma e Bruxelles assistono finanziariamente i Paesi da dove i barconi potrebbero partire. Un warning esplicito arriva proprio durante il Forum, da parte del primo ministro tunisino Ahmed Hachani: «È necessario fornire maggiore assistenza a Paesi come la Tunisia. Gli aiuti forniti non sono sufficienti per affrontare il problema», avverte Hachani, esortando in parole povere l’Ue a stanziare altri fondi. A marzo, va ricordato, Bruxelles ha già erogato 150 milioni di euro a titolo di sostegno al bilancio per la stabilità finanziaria ed economica della Tunisia e come parte di un accordo volto a combattere l’immigrazione clandestina. Ma ora Tunisi bussa di nuovo a denari. E lo scenario tratteggiato inquieta: migliaia di migranti sono ora concentrati in città del sud della Tunisia come Amra e Jebiniana «che ne hanno assorbiti oltre le loro capacità» col rischio di tensioni e proteste, incalza il primo ministro, descrivendo la Tunisia come un “Paese vittima”, che sta esaurendo le finanze pubbliche per affrontare la crisi migratoria, mentre l’economia è in panne.
Al-Dadaiba e l’instabilità libica
Di investimenti parla anche il primo ministro libico Abdul Hamid Al-Dabaiba: «Per decenni sono stati spesi soldi per questo problema, ma non è stato risolto - considera - I soldi devono essere spesi nei Paesi d’origine e non nei campi di detenzione, sia in Libia che in Europa». Nel suo Paese, ancora alle prese con l’instabilità politica, il numero di rifugiati provenienti da altri Paesi è incerto: 2,5 milioni, secondo il ministro dell’Interno Emad Trabulsi, 706mila invece secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (dati di gennaio). Da Tripoli, insomma, la premier riparte con la consapevolezza delle tensioni che movimentano l’area. Oggi sarà nel Regno Unito, per partecipare alla Comunità politica europea, un tavolo di dialogo informale sulla politica estera fra 47 nazioni, in cui il tema dei migranti è ancora in agenda.