mercoledì 17 luglio 2024
Insegnare ai propri figli a stare a tavola non è un aspetto marginale dell’educazione: insegnare comportamenti dentro e fuori casa è utile ai più piccoli
Diciamolo, i bambini senza regole nei locali pubblici sono uno stress
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Perché farselo dire dai gestori dei locali pubblici se i più piccoli possono entrare oppure o no? A sapere cosa è meglio per i propri figli, cosa possono sopportare e cosa li scatena, devono essere i genitori. Non sempre e non ovunque, tutto deve essere alla portata di tutti: succede per gli adulti, figuriamoci per chi è ancora nell’infanzia, un periodo della vita con tante sfumature di indole e maturità. «Mamma e papà dovrebbero farsi questa domanda: ciò che sto proponendo a mio figlio, è la cosa migliore per lui? Che tipo di esperienza vogliamo offrirgli, di stress per ciascuno di noi oppure una situazione positiva che appaghi tutta la famiglia?».

Madre di tre figli, professore associato in Psicologia dello sviluppo-unità di ricerca sul trauma dell’Università Cattolica, Chiara Ionio sulla questione dei luoghi pubblici bambini-dentro/bambini-fuori è tagliente: «Mi fa ridere questa polemica. Ci piace un sacco parlare di inclusione, di annullamento delle differenze e poi, dalle parole ai fatti, chiudiamo, categorizziamo in coppie, famiglie, single... Bisognerebbe imparare a stare insieme nella diversità, insegnando ai bambini le regole del ben vivere in comunità, trasmettendo loro – insiste la professoressa – la capacità di leggere i contesti».

Significa che quando si trovano al ristorante, i più piccoli dovranno rispettare le regole del ristorante, le stesse che hanno imparato a casa, stando a tavola, ma anche altre nuove che consentano loro di sentirsi a proprio agio nella situazione. E di non creare disagio al prossimo: e chi può spiegare quali sono queste regole se non i genitori? Non solo, è necessaria una strategia preventiva da parte di mamma e papà: «Direi che è indispensabile. Se ho un figlio piccino non posso pensare di andare in un ristorante dove so già che ci aspettano lunghi tempi di attesa. Perché so anche che mio figlio non avrà la capacità, la pazienza di attendere. Dall’altra parte – prosegue Ionio – se non voglio rinunciare a questa esperienza devo aiutare mio figlio a superare i previsti momenti di noia. Non piazzandogli in mano il telefono o il tablet, piuttosto distraendolo con piccoli giochi o invitandolo a disegnare, ma consapevole della necessità che io stesso sia attivo nella relazione con il mio bambino durante il pasto».

Può sembrare marginale il tema dell’educazione a tavola. Invece, sapersi comportare adeguatamente nei momenti conviviali è uno strumento di inserimento e accettazione sociale: i genitori che trascurino questo aspetto finiranno per creare una difficoltà al loro bambino, un limite. «Se parliamo del bambino a tavola, dell’educazione alla condivisione del tempo e dello spazio dedicato al cibo, parliamo di una parte importante dell’educazione. Il momento del pasto – spiega la professoressa – non è mai solo quello in cui ci si mangia. È il momento della socializzazione del cibo come strumento “per stare con”. Fin dalla primissima infanzia, fin dall’allattamento, è un tempo di condivisione del bambino con il genitore. Di relazione».

I più piccoli dovrebbero sperimentare, e apprezzare, il piacere di ritrovarsi a tavola, di stare insieme e di chiacchierare: succede con più facilità se gli adulti spengono la televisione – ospite fisso quando si pranza o si cena – e lasciano il cellulare lontano dalla sala da pranzo… «Piano piano ai bambini va insegnato a stare fermi a tavola per periodi sempre più lunghi. Non tutti sono uguali, e si illude chi pensa che ci sia un’età fissa per essere idonei a frequentare ristoranti e alberghi. Bambini di otto anni riescono a stare seduti un’ora intera e altri di 12 fanno fatica a rimanere composti un quarto d’ora. A volte – è il suggerimento di Ionio – è più proficuo uscire quando ci sono altre coppie con figli perché i bambini trovano il modo di stare insieme e far passare il tempo. L’altro consiglio è scegliere ristoranti pensati con sale gioco o spazi adeguati a intrattenerli. Ma attenzione, con questo non intendo suggerire che i bambini stiano da un’altra parte mentre gli adulti mangiano. Penso piuttosto a locali in cui, nei tempi morti dell’attesa tra una portata e l’altra, i più piccoli possano sfogare la loro fisicità in luoghi adatti».

Scatenati in trattoria, quando sono nella mensa scolastica, sia alla scuola dell’infanzia che alla primaria, i bambini stanno seduti e non corrono in giro. Non sarà che lì trovano qualcuno che non solo impone regole precise ma è anche capace di farle rispettare? «Ovviamente. Ogni ragionamento è vano se gli adulti non acquisiranno la loro capacità di essere genitori autorevoli, normativi, in grado di aiutare i loro figli a comportarsi correttamente in situazioni differenti, a stare in contesti diversi dalla propria casa. Certo, capita che il bambino faccia un capriccio in un luogo affollato… È un bambino! Dovere del genitore è intervenire per abbassarne il livello di stress». Il proprio, quello del figlio e quello altrui.

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