Elezioni il 4 marzo, dunque. Salvo imprevisti dell'ultima ora, i partiti avrebbero trovato un accordo sul giorno delle prossime elezioni politiche, individuato in questi giorni nei contatti tra Palazzo Chigi e il Quirinale. Una data che trova d'accordo oggi anche la Lega: «Ci va benissimo: prima si vota, meglio è», dichiara Matteo Salvini concordando sulla data ipotizzata. «E' chiaro che noi siamo a favore dell'election day - aggiunge il segretario della Lega - e bisogna votare lo stesso giorno anche per le regionali. Non farlo sarebbe uno spreco di denaro, una follia».
Perché proprio questa data? L'ultima tappa dei lavori parlamentari è rappresentata dalla legge di Bilancio che, nel calendario istituzionale, dovrebbe essere approvata alla Camera il prossimo 20 dicembre, mentre il varo definitivo spetterà al Senato e dovrebbe arrivare venerdì 22 dicembre. A quel punto tutti i passaggi obbligatori saranno terminati. Sergio Mattarella avrebbe dovuto aspettare il 15 marzo per chiudere la legislatura a scadenza naturale, ma al Quirinale sono ormai convinti che questo Parlamento, una volta licenziata la manovra economica, non sarà in grado di fare molto di più. E del resto si tratterebbe di uno scioglimento anticipato delle Camere solo dal punto di vista tecnico.
Come da Costituzione spetterà al capo dello Stato sciogliere le Camere per il passaggio alle urne, ma ad una condizione: il premier Paolo Gentiloni non dovrà dimettersi prima. L’obiettivo dello scioglimento anticipato di un paio di mesi sarebbe quello di preservare il governo da qualsiasi intoppo parlamentare all’indomani dell’approvazione della legge di Bilancio. Gli ultimi sviluppi politici, con la disaggregazione di gruppi della maggioranza, consigliano di muoversi con celerità e prudenza, per evitare che l’esecutivo arrivi azzoppato alle elezioni. Nell'ipotesi che ce ne sia comunque bisogno dopo elezioni dall'esito tutt'altro che scontato.
Mantenere in vita l'esecutivo sarebbe dunque una misura cautelativa voluta dal Quirinale nel caso in cui, previsione probabile vista la legge elettorale, dopo le elezioni non si determini una maggioranza chiara per poter governare. Tra l'altro, l'esempio spagnolo o tedesco sono diventati una lezione anche per l'Italia sul post voto. E Gentiloni potrebbe essere chiamato a gestire una lunga transizione, quindi meglio evitare il rischio di un "vuoto" e di una nuova impasse.
Gentiloni perciò non salirebbe al Colle rassegnando il mandato, ma più semplicemente dichiarerà «esaurito» il suo compito. Non sarà una novità nella prassi, visto che esistono almeno due precedenti, non a caso già esaminati: quelli del governo Amato del 2001 e del governo Berlusconi del 2006. In entrambi i casi le Camere vennero sciolte con un breve anticipo, senza che i presidenti del Consiglio dell’epoca si dimettessero. Così farà anche l’attuale premier, a cui Mattarella chiederà il «disbrigo degli affari correnti», formula che sembrerebbe limitare l’azione di Gentiloni.