«Se la camorra ha assassinato il nostro paese, "noi" lo si deve far risorgere,
bisogna risalire sui tetti a riannunciare la "Parola di Vita"». Così scriveva
don Peppe Diana pochi giorni prima di essere ucciso dai killer della camorra.
Erano le 7,30 del 19 marzo 1994, giorno del suo onomastico, e il parroco
di San Nicola a Casal di Principe stava per celebrare le messa. In sagrestia
venne avvicinato da una persona. «Chi è don Peppe?» chiese. «Sono io» fu
l'immediata risposta di don Peppe. Poi 5 colpi di pistola.
Aveva appena 36 anni. Sacerdote dal 1982, parroco dal 1989, era capo scout dell'Agesci. Impegnato coi giovani, i disabili e gli immigrati per i quali aveva anche
aperto un centro.
Nel Natale 1991, assieme agli altri parroci aveva firmato
una lettera dal titolo "Per amore del mio popolo non tacerò", distribuita
in tutte le chiese. «La camorra - si leggeva - oggi è diventata una forma
di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare
componente endemica nella società campana». Parole che i boss non potevano
accettare. Don Peppe doveva morire «come esempio». Mandanti ed esecutori
sono stati condannati. Tutti camorristi, a smentire le voci calunniose.