Il premier Giuseppe Conte e il ministro Roberto Gualtieri, ministro dell'Economia e delle finanze - Ansa
Dopo “appena” 6 giorni dal Consiglio dei ministri, il “decreto Rilancio” da 55 miliardi ha completato la fase di gestazione: il testo è stato “bollinato” martedì sera dalla Ragioneria dello Stato e subito firmato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, e in nottata pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Ora si passa all’esame parlamentare e alla fase operativa dei nuovi aiuti per famiglie e imprese, a partire dalla seconda mensilità da 600 del bonus agli autonomi che arriverà al massimo «in due–tre giorni» (marzo è stato pagato a 3,9 milioni di persone, ha precisato Tridico, presidente Inps). Le risorse saranno «subito disponibili», assicura al Tg1 delle 20 il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri. Così come scatterà subito la possibilità di far domanda almeno per le misure più semplici, vedi la proroga del bonus baby–sitter – o per i centri estivi – fino a 1.200 euro.
Ora la parola passerà al Parlamento, che avrà a disposizione una dote di circa 800 milioni per le modifiche: di sicuro si tornerà sulla questione dei professionisti, che già lamentano l’esclusione dai contributi a fondo perduto. Bisognerà evitare, però, il rischio ingorgo perché la Camera, andando un po’ a rilento, è ancora alle prese con il precedente decreto per garantire liquidità alle imprese, dove si registra una novità “di peso”: il vicesegretario del Pd, Andrea Orlando, ha annunciato che le piccole imprese avranno più tempo per rimborsare i prestiti garantiti al 100% dallo Stato fino a 25mila euro, con un emendamento (che sarà votato nelle prossime ore) il termine per restituirli passerà da 6 a 10 anni.
Nell’ultima versione, intanto, è lievitata a 266 articoli la maxi–manovra che contiene soprattutto un pacchetto di nuovi interventi per le imprese, come gli aiuti a fondo perduto alle Pmi fino a 5 milioni di fatturato. Dalla formulazione finale emerge però una beffa per gli oltre 240mila lavoratori – in grande maggioranza donne – che tra marzo e aprile, in base al “Cura Italia”, hanno chiesto il congedo straordinario retribuito al 50%. Quest’ampia platea resta ora esclusa dal secondo voucher baby–sitter. In sostanza, se queste persone resteranno – come probabile – nella situazione di dover accudire i figli a casa, non avranno scelta: o chiederanno un nuovo congedo perdendo reddito (e rischiando di complicare la propria posizione lavorativa) o si procureranno una collaboratrice, ma a spese proprie, senza contributo dello Stato.
La beffa è legata al meccanismo di “alternatività” che legava congedi e voucher già nel comma 8 dell’art. 23 del Cura Italia, perché il governo ha deciso in sostanza di dare due strumenti tra loro alternativi. In pieno lockdown, però, data anche l’enorme difficoltà a trovare baby–sitter, oltre 240mila lavoratori hanno chiesto il congedo e solo 90mila circa il bonus. Il nuovo decreto non ha eliminato l’opzione alternativa fissa nel tempo, sebbene il Paese sia in una fase del tutto diversa.
Sulla pagina Facebook “Inps per la famiglia”, centinaia di mamme stanno facendo la stessa domanda: «Vorrei capire se chi ha chiesto il congedo Covid con il decreto di aprile possa chiedere ora il bonus baby–sitter». La risposta del solerte social media manager di Inps è desolata: «No, potrà richiedere di nuovo il congedo Covid». Alcune lavoratrici spiegano di aver utilizzato pochissimi giorni di congedo, di essere poi state messe in cassa integrazione e che a giugno hanno la possibilità di riprendere: nemmeno loro potranno avere il voucher la cui dote, nel “decreto Rilancio”, sale nel complesso a 1.200 euro massimi per una famiglia. In sede parlamentare, basterebbe concedere a chi ha usufruito dei congedi Covid del Cura Italia la scelta, nell’attuale “Fase 2”, tra rinnovo del congedo e il bonus per il prosieguo della crisi pandemica.