lunedì 8 ottobre 2012
Una “giuria” ha stilato il decalogo dell’assistenza. Chiesta la creazione di una figura che coordini gli interventi per aiutare i familiari a gestire il ritorno alla normalità e un osservatorio nazionale per la qualità dell’assistenza.
IL DECALOGO
Nell'umanità di uno sguardo la dignità dei malati di Mario Mellazini
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​Primo: un Osservatorio nazionale che definisca gli standard di qualità nelle strutture per stati vegetativi e nei percorsi di cura. Secondo: la garanzia che il rientro a casa dei pazienti non si traduca in una tragedia per l’intera famiglia ma in un evento positivo e condiviso. Terzo: il coinvolgimento delle associazioni familiari nel monitoraggio delle Linee guida sull’assistenza ai loro cari. E poi la figura del case-manager (che prende per mano la famiglia e gestisce l’intera situazione) e quella dell’amministratore di sostegno (stabilita da una legge del 2004 ma ancora sconosciuta ai più)...Queste e molte altre (vedi box a lato) le «raccomandazioni» di qualità per la cura alle persone in stato vegetativo o di minima coscienza. Sono scritte nero su bianco, marcate a fuoco nella bozza di documento stilato ieri sera a Bologna dopo nove ore di confronto tra le associazioni familiari e la comunità scientifica, riunite nella prima conferenza nazionale di consenso promossa dalle associazioni stesse.Una svolta epocale: a fine giornata una giuria ha stilato il testo (che sarà definitivo tra tre settimane) rispondendo proprio ai quesiti della «base», cioè di chi conosce in concreto bisogni e lacune. Ma cos’è una conferenza di consenso? Non rischia di aggiungere parole alle già troppe parole? «È uno strumento di solito utilizzato dalle comunità scientifiche e consiste nella stesura di “raccomandazioni” dopo che gli esperti hanno sintetizzano le conoscenze su un dato argomento – spiega Fulvio De Nigris, direttore del centro studi ricerca sul coma di Bologna –. Questa conferenza fissa finalmente gli indicatori di qualità condivisi tra mondo sanitario e associazionismo». La giuria è infatti composta da neurologi, fisiatri, psicologi, ma anche i familiari dei pazienti in stato vegetativo, in collaborazione con la federazione italiana aziende sanitarie ospedaliere, la federazione nazionale degli ordini dei medici, i comuni italiani (Anci) e con il patrocinio del ministero della Salute. A nome del quale è intervenuta Loretta De Carolis: «Tanto lavoro è stato fatto in passato con il sottosegretario Eugenia Roccella, in particolare fondamentale è l’accordo Stato/Regioni del maggio 2011 e le linee guida per l’assistenza che ne sono scaturite. Ora il ministero sta monitorando le Regioni che hanno effettivamente recepito tale accordo. Per ora sono solo cinque». «Così abbiamo deciso di accelerare noi i tempi, come autentiche sentinelle», conclude De Nigris.Cinque i temi di riflessione proposti ieri alla giuria (non a caso alla vigilia della giornata nazionale dei risvegli che si celebra oggi): la tutela giuridica delle persone in stato vegetativo, il ruolo delle associazioni, gli standard di qualità nelle strutture, gli standard di qualità nel domicilio, la corretta comunicazione tra sanitari e familiari. «La tutela giuridica di queste persone è evidente, basta citare la Costituzione – sottolinea la biogiurista Elisabetta Septis – ma all’atto pratico la storia di queste famiglie è una storia di diritti negati. Se la legge sulle Dat fosse approvata, sarebbe una prima importante risposta grazie all’articolo 5, che garantirebbe risorse e assistenza».Il rientro al domicilio dopo il ricovero è uno dei momenti più traumatici per i familiari, se non sono stati addestrati a far fronte a una situazione spesso senza sbocchi: «Il ruolo delle associazioni è basilare per accompagnare questo passaggio – dice Maria Vaccari (Gli amici di Luca onlus) – ma devono poter essere presenti già nella fase acuta nel trauma per contenere il carico emotivo, spiegare i termini medici, orientare i familiari nel lungo percorso che ora dovranno affrontare». «Ma le strutture fanno molto poco – conferma Roberto Rago, fisiatra – dieci giorni prima avvertono di colpo che il paziente deve uscire. Invece per almeno trenta giorni i familiari vanno addestrati a 360 gradi e da molti specialisti diversi, come fossero dei marines». È una vera guerra quella che affronteranno, costretti a far fronte a situazioni più grandi di chiunque: «Ale dopo i primi mesi alla Casa dei Risvegli stava persino in piedi – racconta Giancarlo Pivetta di suo figlio, in stato vegetativo a Pordenone –, ma appena rientrati a casa abbiamo trovato il deserto più arido e i miglioramenti sono spariti». «Spendind review significa razionalizzare, non razionare: no ai tagli per questi pazienti», si raccomanda Antonio Ereno, presidente comitato qualità Confindustria di Padova, mentre Elena di Girolamo (Rinascita e Vita onlus) per descrivere il ritorno a casa mostra una diapositiva in cui la carrozzina fronteggia una lunga scalinata: «Nel 49% dei casi la domiciliazione non è possibile perché il parente non è addestrato – spiega la neurologa Anna Mazzucchi –, nel 40% invece a essere inadatta è la casa: il case-manager sarebbe la figura chiave».Qualcuno in Italia si ostina a parlare di diritto alla morte, mentre i disabili e le loro famiglie chiedono di poter vivere. Per dirla con il testimonial Alessandro Bergonzoni, «quando l’ahimé diventa hai me, è un antitestamento: non è quello che lascio se non torno, ma è quello che voglio quando torno».
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