giovedì 12 luglio 2012
Per reati più gravi la condanna esclude reinserimento e riscatto. Circa un centinaio i carcerati cui è stata inflitta questa irreversibile punizione. Associazione mafiosa e reati favoriti dall’ambiente mafiogeno le accuse che prevedono il ricorso a una misura da cui sono esclusi solo i pentiti. (VAI AL DOSSIER)
L’uomo, non il suo errore di Marco Pozza 
Eusebi: «Una legge non costituzionale»
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​«Morto che parla», ironizza amaramente una voce da dentro una cella. Sono gli "ergastolani ostativi". Murati vivi perché, a giudicare dal regime carcerario che gli è imposto, essi sono il peggio, la feccia, i "mostri" a cui non deve neanche essere concesso di poter sperare, un giorno, di scoprirsi finalmente cambiati e meritevoli di un’altra possibilità. Perciò, espulsi per sempre dal consesso umano.Non tutti sanno che nel nostro Paese coesistono l’ergastolo ordinario e quello ostativo ai benefici. Il primo concede al condannato la possibilità di usufruire di permessi premio, semilibertà o liberazione condizionale, tanto che la grande maggioranza dei 1.546 ergastolani rimarranno in cella per non più di ventisei anni, quando scatta la possibilità della cosiddetta "liberazione anticipata". Il secondo, al contrario, nega fin dalla sentenza e in modo perpetuo ogni vantaggio penitenziario. Nessuna redenzione.Nato negli anni ’90, quale muscolare risposta dello Stato alla guerra dichiarata da Cosa nostra con le stragi di Capaci, Via d’Amelio, e poi le bombe di Milano, Roma e Firenze, l’ergastolo ostativo è la pena prevista per tutti gli imputati condannati per associazione mafiosa o per reati assimilabili, cioè favoriti dall’ambiente mafiogeno. Una definizione che si rivelerà ambigua. Sono circa un centinaio i reclusi rassegnati all’idea di uscire di prigione solo a bordo di un carro funebre. Ma non tutti sono "mafiosi" così come li intendiamo di solito. «Un rapinatore preso in flagrante a Scampia viene giudicato secondo criteri di contiguità ambientale alla camorra – osserva Carlo Fiorio, docente di Procedura penale all’Università di Perugia –, mentre lo stesso reato commesso a Trento viene inquadrato in modo differente e meno rigido». Per effetto di alcune norme anche ammettere la propria colpa, ma tacere le responsabilità altrui, è causa di ergastolo perenne. «Il dettato costituzionale è chiaro, quindi se l’ordinamento non prevede la possibilità di uscire dal carcere a condizioni raggiungibili, la pena dell’ergastolo va contro l’articolo 27 della Costituzione», ha detto Valerio Onida, presidente della Corte Costituzionale dal 1996 al 2005, in una riflessione apparsa sull’ultimo numero della rivista del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Le due città. Gli "ostativi", dunque, sono colpevoli due volte: per aver commesso un reato e per non aver cooperato alle indagini. «Alle volte la scelta di collaborare o no con la giustizia può non dipendere esclusivamente dall’individuo – arguisce Onida –. Non si può generalizzare perché le fattispecie sono tantissime». Ci sono detenuti che tacciono perché questo potrebbe significare mettere a repentaglio la vita dei loro cari, «oppure perché non hanno modo di collaborare, non hanno informazioni, o altro. Alle volte quindi la mancata collaborazione non dipende dalla volontà dell’individuo». Fatti i dovuti calcoli «questo significa che, anche dopo 26 anni, risulta impossibile concedere la libertà condizionata, come invece avviene per gli altri detenuti che scontano l’ergastolo».La storia simbolo è quella di Carmelo Musumeci, capo di una banda di biscazzieri-rapinatori-spacciatori catanesi attivi in Versilia. Entra in carcere vent’anni fa ma, secondo le sentenze, si rifiuta di fare il nome di un complice. Nell’automobile usata per compiere un delitto (Musumeci è stato giudicato colpevole di omicidio in qualità di mandante) vengono rinvenuti quattro passamontagna. Gli inquirenti di banditi ne acciufferanno solo tre, manca il quarto. Secondo la difesa, però, questi non esisterebbe, semplicemente perché quel copricapo sarebbe stato solo "di scorta". Comunque siano andate le cose, Musumeci si ritrova prima rinchiuso all’Asinara. Ci arriva che aveva la quinta elementare. Pur non essendo mai uscito dal carcere, attualmente a Spoleto, si è diplomato, laureato in Giurisprudenza e pubblicato testi anche per Mondadori. Il profilo tracciato dagli operatori carcerari racconta di un detenuto esemplare, un uomo che non ha niente a che fare con il ragazzo scapestrato degli anni ’80. Al momento della sentenza venne giudicato "ostativo". E tanto è bastato a gettar via la chiave della sua cella.
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