
L'ingresso del carcere di Montorio Verona, dove negli ultimi cinque giorni due detenuti si sono suicidati - ANSA
Rimane grave la situazione nelle carceri italiane, dove si continua a morire, per mano propria o per motivi da accertare (e che nella maggior parte dei casi non si conosceranno mai): 21 i suicidi di detenuti dall’inizio dell’anno, 49 i decessi determinati da altre cause. E muoiono detenuti giovani: l’età media delle vittime è di 43 anni.
Gli ultimi due ristretti che si sono tolti la vita, martedì scorso, sono italiani: un 39enne si è impiccato nella cella dell’istituto penale di Foggia (uno dei più sovraffollati e turbolenti d’Italia) dove era entrato due giorni prima per maltrattamenti alla compagna, l’uomo aveva già provato a uccidersi in una precedente detenzione tagliandosi le vene ai polsi, e fu salvato dall’intervento degli agenti di polizia penitenziaria, i suoi familiari hanno inoltrato una denuncia per mancato controllo; nella struttura carceraria di Verona Montorio è stato un uomo di 57anni a morire per impiccagione, si tratta del secondo suicidio in due giorni nella Casa circondariale scaligera.
Dietro le sbarre crescono pure le aggressioni e gli atti di autolesionismo: dal 1° gennaio ad oggi sono stati rispettivamente 149 e 361. I tentati suicidi invece, nello stesso periodo, ammontano a 63.
Una psicologa ha subito violenza sessuale da un detenuto italiano di 38 anni nel carcere milanese di San Vittore dopo essere stata minacciata di morte con una lametta da barbiere. L’uomo che svolgeva il ruolo di “scrivano” all'interno della Casa circondariale è stato arrestato in flagranza di reato dagli agenti della Polizia penitenziaria. Per il recluso il gip Andrea Carboni ha già convalidato l’arresto. L’episodio è avvenuto lunedì. Già nell'aprile del 2016 il 38enne, durante un’uscita per permesso premio dal carcere di Bollate, era stato arrestato: aveva pedinato e violentato una ragazza di 16 anni ad Assago mentre la giovane rientrava a casa. Per questo fatto era stato condannato a quasi 7 anni. Il detenuto è stato trasferito al carcere di Sassari. A Milano stava scontando un cumulo pena che si sarebbe estinto l’anno prossimo.
L'emergenza principale riguarda sempre il sovraffollamento: al 28 febbraio scorso erano 62.165 i detenuti presenti in 190 istituti, circa 11mila in più rispetto alla capienza regolamentare e addirittura 15mila in esubero se si considerano i posti letto effettivamente disponibili. Ci sono celle di 4 persone dove vivono in 7 o 8, come accade, per esempio a Foggia.
E anche il sistema minorile, un tempo fiore all’occhiello dell’Italia rispetto agli altri Paesi europei, è andato in tilt: istituti senza più posti disponibili, dove i ragazzi dormono per terra, assumono psicofarmaci come fossero caramelle, protestano spesso con azioni violente. Nei 17 carceri, al 15 marzo scorso erano ospitati 611 minori e giovani adulti, i più affollati risultano il Cesare Beccaria di Milano e Nisida.
«Di fronte a una popolazione detenuta composta prevalentemente da persone vulnerabili – afferma il presidente dell’Associazione Antigone, Patrizio Gonnella - la risposta istituzionale è stata la chiusura generalizzata nelle celle. I detenuti sono così costretti a stare in luoghi malsani sino a venti ore al giorno. Il Parlamento, giustamente sollecitato dalle opposizioni a occuparsi della questione carceraria (una seduta straordinaria si è tenuta ieri alla Camera, ndr), non deve lasciare il carcere, i detenuti e gli operatori nelle mani del solo governo, di chi ha mostrato indifferenza e cinismo, di chi non piange i morti e pensa che il detenuto sia un bersaglio da eliminare».
Intanto si attende la nomina del nuovo Capo del Dipartimento di Giustizia Penitenziaria, dopo le dimissioni di Giovanni Russo. Il decreto sembra essersi fermato su qualche tavolo di Palazzo Chigi, nonostante l’emergenza. E ieri, il Presidente del Garante nazionale delle persone private della libertà personale, Riccardo Turrini Vita, si è incontrato con il ministro di Grazia e Giustizia, Carlo Nordio. All'incontro hanno partecipato anche i Garanti territoriali. «Abbiamo ricordato al Ministro i dati ufficiali del Dap: sono oltre 23mila i detenuti che attualmente si trovano in un regime detentivo chiuso - spiega il portavoce della Conferenza nazionale dei garanti, Samuele Ciambriello - che non hanno attività trattamentali significative, non hanno ore di socialità fuori dalle sezioni, non hanno percorsi di inclusione ma di mera sicurezza. In questo quadro abbiamo sottolineato che non servono tanto nuove celle o stanze di pernottamento, ma laboratori, officine scuole, spazi di vita comunitaria sportiva e formativa. Non nuove carceri, ma carceri nuove». I Garanti hanno poi commentato la proposta di organizzare Case di reinserimento, un progetto che comporta un investimento di oltre un miliardo e 900mila euro per assicurare la presenza e l'attività di mediatori culturali: «Ci sembrano un modello e una prospettiva interessanti e feconde».