La vaccinazione anti Covid alle Molinette di Torino - Ansa
Parlare di quinta ondata di Covid-19 non trova d’accordo tutti gli esperti, che però in genere ribadiscono che è opportuno tenere alta la guardia anche se dal 31 marzo alcune misure di precauzione non saranno più obbligatorie. Gran parte dei dubbi riguardano gli sviluppi della variante Omicron 2, riconosciuta come ancora più contagiosa della parente Omicron. E il ritorno alla gestione sanitaria ordinaria, dopo la fine dello stato di emergenza, non lascia tranquilla la Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo), che per bocca del suo presidente Filippo Anelli osserva: «La gestione centralizzata si è dimostrata virtuosa, in particolare per la campagna vaccinale. Oggi il timore è che tutto torni alle Regioni, con i limiti di disomogeneità che conosciamo».
Ammonisce a «non avere la memoria corta» Fabio Ciciliano, dirigente della Polizia e componente del Comitato tecnico-scientifico (Cts) destinato a sciogliersi tra 10 giorni, ma osserva che «significa che le condizioni generali del Paese possono consentire il ritorno a una gestione normale del fenomeno sui territori», anche se la pandemia non è finita. «Quello che deve essere valutato – sottolinea – è l’impatto sui sistemi sanitari regionali dei nuovi ricoveri nei reparti ordinari di degenza Covid e nelle terapie intensive. I numeri sono in riduzione dal picco della seconda settimana di gennaio scorso». Ieri i nuovi casi in Italia sono stati 32.573 (meno di domenica ma più di lunedì 14) e i morti 119: scesa di 4 l’occupazione di posti letto in terapia intensiva, ma aumentati di 298 i ricoverati in reparti ordinari.
Più preoccupato l’epidemiologo Pier Luigi Lopalco (docente di Igiene dall’Università del Salento): «È sicuramente l’innesco di una nuova ondata», sia per la presenza della nuova variante di Sars-CoV-2, «più trasmissibile di Omicron 1», sia per «l’abbassamento delle misure individuali di protezione, successivo al cambio di regole delle ultime settimane». E ribadisce l’appello a vaccinarsi, soprattutto gli over50 ancora privi di terza dose. Il virologo Fabrizio Pregliasco (direttore sanitario dell’ospedale Galeazzi di Milano) predica «prudenza e progressività nelle misure perché si potrebbe anche dover tornare indietro. Diciamo che questo virus ci darà ancora del filo da torcere». Gli effetti sono meno “pesanti” sia perché il virus è meno “cattivo” sia perché abbiamo una quota notevole di vaccinati e guariti.
Più ottimista Matteo Bassetti, direttore di Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova: «Non credo che siamo di fronte a una quinta ondata. Forse è la prima ondata di un virus depotenziato perché non è paragonabile alle precedenti quattro ondate e perché i nostri ospedali hanno pressione zero. Ovvero, questo aumento dei contagi non porta a una malattia grave».
«Credo che anche i ricoveri aumenteranno nei prossimi giorni – osserva Andrea Crisanti, direttore del Dipartimento di medicina molecolare dell’università di Padova –. Ma la sottovariante Omicron 2 non lascia scelta: bisogna proteggere i fragili. Non si può fare nulla con questi livelli di trasmissione, non funziona nessuna misura parziale. Quindi proseguiamo con le riaperture».
Anzi, contesta i tempi: «io avrei liberalizzato tutto e subito a partire da fine gennaio, perché aspettare è stato controproducente. Le persone che si infettano adesso sono più vulnerabili, perché è passato più tempo dalla vaccinazione e dall’ultima volta che si sono infettati». Anche Massimo Clementi, direttore del Laboratorio di microbiologia e virologia dell’università Vita-Salute San Raffaele di Milano, nega la quinta ondata: «È un virus che nella sua evoluzione ha modificato non soltanto le caratteristiche genetiche, ma anche quelle fenotipiche: dà cioè un’infezione diversa. Se continua così, auspicabilmente potrebbe diventare un’infezione stagionale delle vie aeree superiori». Quindi, «il percorso di riaperture va portato avanti così come è stato annunciato».
Che si tratti di un virus molto diverso («molto attenuato) da quello originale è convinta Maria Rita Gismondo, direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica dell’ospedale Sacco di Milano, che invita a «non cedere al panico».