mercoledì 27 agosto 2014
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​Se c’è uno sport che valorizza ed esalta le differenze, è il rugby. Tutti i giocatori sono ugualmente decisivi per raggiungere l’obiettivo: i più potenti e gli agili, quelli scattanti e le "pertiche" della squadra. Il rugby è disciplina che esalta la consapevolezza, alimenta la protezione. E, nella sconfitta, insegna a rialzarsi in fretta. Proprio come Barry l’etiope, un ragazzo dal percorso umano tumultuoso, ospite di una comunità, al quale il rugby ha imparato a gettarsi nella mischia per placcare uno scontro tra bande che avrebbe visto sfortunati protagonisti alcuni compagni di squadra. Barry è uno dei tanti sottratti alla strada, con il sogno di diventare piloni o seconde linee, dal Tarvisium Rugby di Treviso, squadra che accoglie ragazzi con disagio sociale e a rischio carcere. In panchina siede Massimiliano Ruggiero, una vita in serie A, già allenatore delle Nazionali giovanili ed ora impegnato in questa sfida: «Ragazzi difficili prospettive vincenti, l’abbiamo chiamata» dice Ruggiero con un ottimismo che gli sprizza dagli occhi.Si cresce dunque con il rugby, ma anche con il calcio e il basket, per andare in gol, in meta o a canestro in quelle periferie dell’esistenza che sono il disagio sociale, la povertà, la disabilità. Laddove la partita sembra perduta prima ancora di iniziare, l’impensabile diventa possibile: oltre a Ruggiero l’hanno testimoniato i colleghi Marco Calamai e Pedro Samaniego.Giocatore di serie A, coach nella massima serie (365 panchine) e un titolo mondiale con la Nazionale militare, Calamai grazie al basket ha agganciato la disabilità, fisica e mentale, e da anni porta avanti il progetto Special e una squadra, Over Limits, nella quale normodotati e disabili giocano assieme nel torneo Anspi di Bologna. E vincono pure contro formazioni di soli normodotati. «Ogni giorno scopro in questi ragazzi molte più qualità dei loro limiti» ammette il coach. Il ragazzo cerebroleso che fa canestro aiutato da un compagno psicotico, la ragazza autistica che vince la sua chiusura con la palla a spicchi, rappresentano una vittoria che nessuna graduatoria potrà mai cancellare. Ne è convinto pure Pedro Samaniego, uno che nelle periferie ci vive. Paraguajano, è il responsabile della "Casa Virgen di Caacupè" ad Assuncion: i ragazzi detenuti qui possono scontare la pena alternativa. «Attraverso lo sport, e in particolare il calcio, educhiamo i condannati e quelli in difficoltà» dice Pedro. L’opera scende in campo da 25 anni. Con lo sport educa il desiderio dei ragazzi e li porta a fare gol. Oltre le sbarre, per la vita.
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