Il giaciglio in strada dove è nato il piccolo Ivan - .
Chi è l’essere umano abbandonato, in questa storia amara che arriva da Palermo? Il bambino o la madre? O forse entrambi in egual misura? Un neonato è stato lasciato volontariamente in ospedale dalla donna che l’ha messo al mondo in strada e affidato alle cure dei medici e degli infermieri.
Ma non è rimasto né resterà solo: già nelle ore successive al ricovero, come è accaduto in casi analoghi in passato, è stato inondato di affetto sotto forma di cure e di animali di peluche, piccoli giocattoli, abitini azzurri. Ma la madre? Ecco, è lei è la vera abbandonata di questa storia. Notiamo un particolare: il piccolo un nome ce l’ha, Ivan, ed è stato sua madre a sceglierlo. Lei no, non ha nome, nemmeno uno di comodo, inventato per raccontare la sua storia sui giornali. Nessun nome. Si sa che si tratta di «una donna sudamericana», «di origini uruguaiane» che «ha problemi di dipendenza» e una quarantina di anni. Dunque una gravidanza tardiva, chissà se voluta o subìta, chissà se frutto di una profonda disperazione o di una accanita speranza.
Sappiamo che era seguita – o lo era stata in passato - dai servizi sociali, ma che continuava a essere una dei tanti che vivono ai margini senza che nessuno riesca a cambiare la sua situazione. Di certo il pancione al nono mese – Ivan, hanno riscontrato i medici, è nato a termine sebbene non abbia mai beneficiato di una visita o di un controllo prenatale – avrebbe meritato più attenzione, più compassione, più amore.
Qualcuno o forse molti si sono girati dall’altra parte, magari presto scoraggiati da un suo stesso rifiuto: spetta sempre a qualcun altro, mai a noi, in prima persona, intervenire per salvare un essere umano allo sbando. Ma questa vicenda può avere ancora un lieto fine, un epilogo degno del periodo natalizio che stiamo vivendo. Se i due abbandoni – del figlio e della madre – si fondessero in una nuova storia, sarebbe il racconto di Natale perfetto.
Ecco la favola di Palermo, così come potrebbe essere e chissà che lo diventi davvero: una donna senza nome ritrova su di sé lo sguardo della comunità, che la solleva dalle sue miserie, dalle sue dipendenze, che si accorge finalmente di lei e la considera per quello che è e che siamo un po’ tutti, chi più chi meno, un essere fragile, che però nel momento cruciale ha saputo – non sappiamo quanto consapevolmente - scegliere la vita e non la morte.
E lì vicino, nella stessa città, sotto lo stesso cielo di Palermo, il piccolo Ivan che aspetta il tempo migliore per godere dell’abbraccio di sua madre. E finalmente darle un nome. Da due abbandoni, osiamo sperare in una unica storia che ricominci.