Le risorse economiche e i servizi «sono una condizione necessaria, ma non sufficiente». Perché la 'salute' della famiglia dipende anche da «tutta quella dimensione relazionale e associativa» che le ruota attorno, sostenendola. E non poco. Maria Letizia Bosoni, ricercatrice della facoltà di Scienze dell’educazione all’università Cattolica di Milano e tra i curatori del rapporto sull’Indice globale indipendente sulla Famiglia, ne è convita: «La dimensione reticolare in cui è inserito ogni nucleo familiare è il mezzo per valorizzare il ruolo della famiglia all’interno della società». Partendo, però, da una definizione specifica di famiglia.
Quale?Noi parliamo di famiglia intesa come gruppo sociale umano basato su un’identità peculiare cioè il riconoscimento dell’esistenza della reciprocità nelle relazioni tra i sessi e le generazioni, dunque con un passato ma proiettata al futuro attraverso i figli. L’Igif infatti contempla sia indicatori strutturali, sia risorse economiche e servizi che risorse sociali, anche se queste ultime sono più difficilmente misurabili e compara- bili.
A quali conclusioni siete giunti?Prima fra tutte abbiamo dimostrato che per il benessere della famiglia la questione non è solo economica e di ricchezza dei servizi offerti, ma subentra una dimensione sociale e culturale non meno fondamentale. A confermarlo, ad esempio, sono Paesi in cima alla classifica globale secondo l’Igif come la Danimarca, in cui anche a fronte di finanziamenti e servizi a supporto dei compiti di cura molto elevati, la dimensione strutturale in termini di presenza di figli e diffusione del matrimonio rimane bassa.
Perciò cosa spinge a mettere in cantiere una famiglia? Siamo di fronte ad una globale chiusura della coppia, con un
trend che porta a investire poco sulla famiglia. Sicuramente il primo fattore è culturale, ma subito dopo c’è l’orizzonte di precarietà anche lavorativa in cui vivono le giovani coppie, unito ad una lontananza o assenza dei nonni che invece, quando ci sono, diventano un grande sostegno per l’intero nucleo. Non ci sono ricette predefinite né giusti mix che valgono in tutto il mondo, ma le politiche per la famiglia devono essere calate nello specifico del Paese.
Ecco appunto. Veniamo all’Italia. Come sta qui la famiglia? Il nostro Paese è un caso emblematico. Il trentanovesimo posto in classifica da un lato è dovuto a livelli bassi sia nella struttura – dunque significa che si fanno meno figli e ci si sposa sempre meno – ma anche a scarse risorse e servizi dedicati alla famiglia. Solo la dimensione sociale è discreta – e questo è quasi un
unicum – con la rete parentale allargata e quella associativa familiare che diventano un supporto importantissimo. Anche se poco riconosciuto.
Quindi quali politiche servirebbero? Gli interventi andrebbero secondo noi orientati su tre ambiti. Il primo è la conciliazione famiglia-lavoro, perché continuano ad essere fortemente penalizzate le madri. In questo settore, è vero, negli ultimi anni si sono fatti dei passi in avanti, ma la strada è ancora lunga. Il secondo ambito è il supporto delle generazioni anziane, che offrono un aiuto prezioso in famiglia per la cura e per il bagaglio valoriale che trasmettono. Ultimo, ma non per importanza, è l’investimento sulla dimensione reticolare della famiglia e sull’associazionismo familiare che aiutano a condividere l’esperienza della famiglia.