mercoledì 2 dicembre 2015
COMMENTA E CONDIVIDI
«Una legge sull’alienazione parentale? Non saprei, bisogna approfondire bene. Non bastano ricerche prese a prestito da un altro Paese per modificare il nostro sistema giudiziario che fa riferimento a una realtà socio-culturale molto specifica». Accanto alle perplessità giuridiche, quelle scientifiche. Simona Abate, psicologa clinica a Roma, è una delle studiose più attente dell’alienazione genitoriale, ma ritiene che la pretesa di inquadrare il problema in una sindrome specifica, presenti più svantaggi che opportunità. Perché questi dubbi? Trasformare questo disagio relazionale in una sindrome con riferimenti scientifici rigorosi vuol dire farne un’arma a doppio taglio. C’è il rischio di lasciare poco spazio a situazioni psicosociali molto varie e che quindi non possono essere etichettate in modo uniforme. E questo che conseguenze può avere?Il rischio è quello di strumentalizzare casi che non devono invece essere inquadrati come alienazione parentale. Ricordiamo che il manipo-latore è anche quello che manipola gli avvocati. E in Italia la formazione di magistrati e di legali su questo specifico problema è ancora tutta da inventare. Vuol dire il problema si risolve solo valutando caso per caso? Sì, per definire una sindrome sono necessari una serie di criteri precisi. E questo elenco di caratteristiche rischia di essere restrittivo per un problema così vasto e sul quale inoltre mancano ancora, almeno nel nostro Paese, ricerche esaustive. Qual è il rischio più grave?Una sindrome preconfezionata può essere usata dal genitore in malafede. Non tutti i bambini che non desiderano più vedere un padre che se n’è andato di casa, sono stati abusati. Forse sono arrabbiati per il suo allontanamento. Se definiamo una sindrome specifica, con una legge che scatta automaticamente, potrebbero nascere conseguenze spiacevoli. Ma al di là della definizione scientifica, come limitare i danni derivanti dall’alienazione genitoriale? Osservando bene i minori coinvolti nelle separazioni giudiziali a elevata conflittualità. E questo lo devono fare gli adulti che hanno rapporti con questi bambini: insegnanti, educatori, allenatori. I segnali purtroppo non sono diretti. Ma quando si vedono bambini agitati, ansiosi, disturbati, vittime o protagonisti di bullismo, con problemi alimentari, allora occorre fare attenzione. Oggi queste verifiche psicologiche sui minori nei casi di separazione giudiziale non sono una prassi abituale? No, sono disposte dal magistrato, a sua discrezione.  Perché un genitore si trasforma in manipolatore patologico dei suoi figli?Perché è incapace di elaborare la separazione e percepisce il figlio come proiezione del coniuge con cui è in conflitto. È un meccanismo patologico che nasce spesso da una profonda immaturità affettiva. Il genitore manipolatore mette al primo posto se stesso e il suo desiderio di vendetta. Quali conseguenze per un minore che ha vissuto situazioni simili? Sicuramente problemi psicopatologici a carico del sistema relazionale. E sono danni che si manifestano per lungo tempo. Quel figlio avrà poi un rapporto labile sia con il genitore manipolatore sia con il genitore vittima. Rischia di diventare un adulto disturbato, che dovrà lavorare su di sé per elaborare il concetto di genitore equilibrato, senza riattivare nei confronti dei propri figlio quelle emozioni negative da lui vissute nell’infanzia. Il bambino che non sperimenta amore sarà un adulto che ama con grande difficoltà. 
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: