Una discarica abusiva di amianto bonificata alla perfieria di Palermo. In Italia sono 11 i territori a rischio individuati dal ministero dell’Ambiente: ci sono scuole, tubature, biblioteche ed edifici culturali, oltre ad almeno 500 ospedali
È vietato nell’Ue da quasi vent’anni, l’amianto, ma la sua presenza – soprattutto negli edifici più vecchi – continua a costituisce una minaccia per la salute. Secondo alcune indagini commissionate proprio dall’Ue, il 78% dei 120mila tumori professionali che ogni anno colpiscono operai e manovali nel nostro Continente può essere messo in relazione all’esposizione all’amianto: dati dell’Organizzazione internazionale del lavoro certificano che il cancro è la prima causa di decessi legati al lavoro nell’Ue, con il 52% dei decessi ogni anno, per un totale di circa 88mila. Una strage che anche il nostro Paese conosce bene: l’Italia è stata tra i maggiori produttori di amianto, prima che nel 1992 ne venissero vietati utilizzo ed estrazione per legge. Ma sul territorio nazionale ci sono ancora numerosi siti in attesa di bonifica con di materiali contenenti il minerale.
La mappa
Dei 42 Siti di interesse nazionale individuati dal ministero dell’Ambiente come luoghi inquinati e dannosi per la salute, 11 sono prevalentemente contaminati da amianto, come la Fibronit di Broni e di Bari o l’Eternit di Casale Monferrato. Secondo i dati dell’Osservatorio nazionale amianto (Ona), l’associazione che rappresenta delle vittime degli effetti nocivi del minerale, sul territorio nazionale ci sono 2.400 scuole, 500mila chilometri di tubature, 1.500 biblioteche ed edifici culturali, ed almeno 500 ospedali contaminati. «Sono strutture attualmente in funzione, una cosa che nel 2023, a 40 anni dallo stop all’estrazione di amianto, è inaccettabile » spiega Ezio Bonanni, avvocato e presidente dell’Ona. La legge principale in materia, la 257 del 1992, non rende obbligatoria la rimozione delle strutture in amianto già edificate, a meno che il materiale non sia friabile e quindi più propenso a liberare le fibre cancerogene. In caso contrario la norma obbliga “soltanto” a segnalarne la presenza alle aziende sanitarie locali in modo da sottoporle regolarmente a verifiche. «Le Asl dovrebbero avere il personale per accogliere le segnalazioni – denuncia Bonanni – e accertare con dei rilievi di precisione se sul posto ci sia rilascio di fibre. Ma sono a corto di uomini, e anche se arrivano sempre nuovi casi da attenzionare, non si muove nessuno». Una “falla” che causa inevitabili ritardi nelle bonifiche, e che costa vite umane. Il Dipartimento Ambiente e salute dell’Istituto superiore di sanità ha calcolato che nel periodo dal 2010 al 2016 nel nostro Paese ci sono stati in media 4.410 decessi all’anno attribuibili a esposizione ad amianto: 1.515 per mesotelioma maligno, 58 per asbestosi, 2.830 per tumore polmonare e 16 per tumore ovarico. «Con il sistema attuale, si gioca sulla pelle delle persone» ammonisce Bonanni. «Il potere aggrappante del cemento – spiega – può diminuire con gli anni. E quindi anche gli edifici non considerati friabili possono diventarlo. Pensate a una scuola: basta che uno ragazzino sbatta col banco contro il muro vecchio, o che venga messo un chiodino per appendere un quadro, per liberare le fibre nell’aria».
La strage silenziosa e gli sforzi per fermarla
120mila
I tumori professionali che ogni anno colpiscono operai e manovali nel nostro Continente. Quasi 8 su 10 sono ancora legati all’amianto
11
2.400
Le scuole contaminate da amianto in Italia. Molte sono aperte, perché per legge non è obbligatoria la rimozione in strutture edificate
4.410
Le morti registrate ogni anno in Italia tra il 2010 e il 2016 e attribuibili all’esposizione all’amianto (1.515 per mesotelioma maligno)
0,01
Il limite di fibre per centimetro cubo di amianto stabilito dalla nuova normativa Ue appena approvata. Il valore è di 10 volte inferiore all’attuale
Le nuove norme
Di fronte al pericolo incombente, la Commissione europea ha recentemente tentato di correre ai ripari, aggiornando la direttiva relativa all’amianto sui luoghi di lavoro con nuove norme sulle quali anche il Parlamento europeo e gli Stati membri hanno trovato un accordo. I nuovi protocolli, stilati tenendo conto dei più recenti dati scientifici, garantiranno che nessun lavoratore sia esposto a una concentrazione superiore a 0,01 fibre di amianto per centimetro cubo, un valore che è dieci volte inferiore al limite attualmente in vigore. Dopo un periodo transitorio massimo di sei anni, gli Stati membri dovranno inoltre attuare un nuovo metodo per misurare i livelli di amianto, la scansione a microscopio elettronico, più sensibile della microscopia a contrasto di fase attualmente utilizzata perché che consente di misurare le fibre più sottili, che spesso sfuggono alle analisi. Sono quelle che, una volta inalate, causano gravi danni al sistema respiratorio e non solo. Nel caso in cui un Paese non possa garantire controlli più approfonditi, il valore limite massimo di esposizione sarà ridotto a 0,002 fibre di amianto per centimetro cubo. Secondo l’Ona «queste nuove disposizioni vanno nel senso della prevenzione primaria, ma non è abbastanza» perché «bisogna imporre un termine per bonificare e rimuovere tutto l’amianto ». Sulle soglie, Bonanni mette in guardia: «Rischiano di essere una convenzione politica, l’Oms e il ministero della Salute hanno certificato che non esiste un limite minimo di sicurezza. Ogni essere umano ha un suo livello di tollerabilità, influenzato da diversi fattori, ma basta anche una dose piccolissima di fibre di amianto per scatenare un mesotelioma». In base alle nuove norme, i datori di lavoro dovranno adottare misure per individuare la presenza di materiali a potenziale contenuto di amianto prima di iniziare i lavori in locali costruiti prima dell’entrata in vigore del divieto nazionale, ad esempio ottenendo informazioni dai proprietari dell’edificio o da altri datori di lavoro, o consultando registri pubblici appositi.
Le protezioni
Le novità coinvolgono anche direttamente i lavoratori potenzialmente esposti al rischio, che le stime quantificano tra i 4,1 e i 7,3 milioni: dovranno indossare adeguati dispositivi di protezione individuale e seguire una formazione obbligatoria, in linea con i requisiti minimi di qualità stabiliti nella direttiva. I passi avanti nella sicurezza dei lavoratori rientrano nell’ambito del piano europeo di lotta contro il cancro e arrivano in un momento di estrema necessità: nei prossimi anni è previsto un aumento dell’esposizione dei lavoratori edili all’amianto, visto che molte delle 220 milioni di unità immobiliari costruite nell’Ue prima della messa al bando del minerale saranno probabilmente ristrutturate, adattate o demolite, anche per effetto del piano di efficientamento energetico degli edifici in vista degli obiettivi di neutralità climatica comunitaria entro il 2050. Nel suo programma di lavoro per il 2023 la Commissione europea ha anche annunciato una prossima iniziativa per il censimento e la registrazione dell’amianto negli edifici, così da mappare i luoghi maggiormente a rischio. Nell’attesa di eliminarli del tutto.