sabato 30 giugno 2018
La storia di Cristina e suo figlio affidato al padre che è indagato per stalking
Bimbi contesi, 10mila i genitori «espropriati»
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«Ho smesso di vivere 468 giorni fa. Era il 10 marzo dell’anno scorso quando il mio ex marito si è presentato con i carabinieri all’asilo e ha portato via il mio bambino di cinque anni. Da allora non lo vedo più. Noi abitiamo al Sud. Loro in una città della Toscana». Lo racconta tra le lacrime una giovane madre siciliana che chiameremo Cristina, al centro di una vicenda giudiziaria quasi incredibile. «Ora la mia vita ha senso solo per riportare a casa mio figlio, per tornare a riabbracciarlo e per spiegargli che tutte le cose bruttissime che gli hanno detto in questi mesi a proposito della mamma non sono vere. Ma ho tanta paura, prego e piango senza sosta pensando al mio bambino costretto a stare con un uomo che conosce solo superficialmente e con una donna, la nuova compagna di lui, che gli risulta del tutto estranea». Mamme e padri separati che, per decisione unilaterale dell’ex, non possono più vedere i propri figli. Casi tutt’altro che rari purtroppo.

Aveva fatto scalpore nell’ottobre del 2012 il caso di Cittadella, in provincia di Padova. Le immagini di quel bambino caricato a forza sull’auto della polizia avevano suscitato sgomento e indignazione. Ma nel frattempo i casi si sono moltiplicati, sono troppi, non fanno più notizia. Secondo le associazioni di separati sarebbero almeno diecimila in Italia i genitori “orfani” di figli. Minori trasferiti da una residenza all’altra per decisione di un giudice, spesso con modalità traumatiche come quelle di Cittadella. Madri e padri costretti inoltre a sopportare in tanti casi le conseguenze subdole ma deleterie di quella pratica definita alienazione genitoriale. Come impedirne la replica? Impossibile purtroppo. La legge 54 del 2006 sull’affido condiviso, ineccepibile sul piano dei principi, non assicura però l’applicazione concreta dei fondamenti che l’avevano ispirata, lasciando ampia discrezionalità ai giudici. Da almeno 5-6 anni si parla della necessità di riformare la norma. Tanti progetti, nulla di concreto. E per quanto riguarda l’alienazione parentale la situazione è ancora più fluida, visto che gli specialisti sono tutt’altro che concordi nel definirne natura e conseguenze.

Nella storia di Cristina c’è tutto questo e anche di più. Un figlio sottratto con la forza, per quanto con il “timbro” del tribunale. L’alienazione parentale. E poi anche lo stalking, denunciato e riconosciuto da un tribunale che però, per un altro giudice finisce per non aver alcun significato nel momento in cui si va a discutere la collocazione del figlio. Cortocircuiti di una giustizia minorile che, se risulta at- tenta ed efficace in alcune aree del Paese, appare invece gravemente carente in altre. «Ho conosciuto quello che sarebbe diventato mio marito nel giugno 2010. Ci siamo sposati nel gennaio 2011. Ma il matrimonio è apparso subito in bilico. Dopo poco più di sei mesi ci siamo separati », riprende Cristina. Una decisione assunta in modo superficiale, forse più per motivi legati a un’opportunità di lavoro che non per convinzione autentica. Considerazioni messe nero su bianco di fronte al giudice del Tribunale ecclesiastico di Firenze che nel 2014, riconoscendo validi i motivi della richiesta, emette sentenza di nullità. Ma intanto, nel gennaio 2012, nasce Gabriele e, subito dopo, comincia lo stalking. Il motivo è evidente.

Nel processo di separazione i genitori hanno deciso per l’affido congiunto con la collocazione presso la madre. Ma, forse anche per le insistenze della nuova partner, il padre non ci sta. Vuole il bambino con sé. E cerca di ottenerlo con ogni mezzo: centinaia e centinaia di messaggi minacciosi, telefonate, intimidazioni. Fino a che Cristina, impaurita e sgomenta, denuncia l’ex coniuge. Dopo oltre due anni di indagini, l’uomo viene rinviato a giudizio dalla procura di una città siciliana che riconosce il contenuto «intimidatorio, offensivo e denigratorio» – come si legge negli atti – di quelle reiterate molestie. Nel frattempo però un altro tribunale segue percorsi diversi e apparentemente contraddittori. Nonostante l’esistenza di perizie da parte dei servizi sociali che attestano come Cristina sia una madre attenta e premurosa, il giudice di un tribunale toscano – dove l’ex marito risiede – decide che, fermo restando l’affido congiunto, il piccolo debba però cambiare residenza. Non più presso la madre ma presso il padre. Ma come? – si affannano a sottolineare gli avvocati di Cristina – l’uomo è stato rinviato a giudizio per stalking prolungato e pesante nei confronti della madre del piccolo.

Se il bambino andrà con lui, l’evidente conflittualità impedirà alla donna di vedere ancora suo figlio. Ma l’iter non si ferma. Viene emanata un’ordinanza e nel marzo 2017 l’uomo arriva in Sicilia, entra all'asilo e, scortato dalle forze dell’ordine, preleva il bambino. Il percorso giudiziario della vicenda sarà ancora lungo – per questo motivo abbiamo preferito omettere luoghi, nomi e particolari – ma al di là dell’esito è evidente come la vittima di questo groviglio di relazioni spezzate e di leggi male applicate, sia facilmente identificabile. È un bambino che oggi ha sei anni a cui il conflitto tra i genitori ha già causato pesanti disturbi emotivi. Tanto che per gli esperti dei servizi sociali non è abbastanza maturo per affrontare da settembre l’ingresso nella scuola elementare. Dovrà rimanere un altro anno alla materna. E poi cos'altro dovrà sopportare? La stessa domanda vale per le migliaia e migliaia di bambini come lui, al centro di dispute giudiziarie, e in attesa di vedere una legge che sappia tutelare il loro diritto a una crescita serena e senza traumi.

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