Si è parlato anche di utero in affitto nel Consiglio permanente della Cei, che si è concluso con la pubblicazione del comunicato finale. Lo ha confermato il segretario generale della Cei e arcivescovo di Cagliari, Giuseppe Baturi, rispondendo alle domande dei giornalisti nella conferenza stampa di oggi, giovedì 23 marzo. Al quesito se i vescovi italiani auspicano di andare verso la qualificazione dell'utero in affitto come crimine universale ha detto: "Per noi è un problema universale. Non siamo entrati nel merito specifico di questa tema". Ma, ha aggiunto, quando il Papa ha denunciato il rischio "mercificazione" della donna, soprattutto di quelle in condizioni di povertà, con la pratica della maternità surrogata, "non parlava soltanto all'Italia". Più in generale, interpellato sulla trascrizione all'anagrafe dei figli di coppie omogenitoriali per la quale si sono mobilitati anche diversi sindaci, al di là degli aspetti giuridici, Baturi ha osservato: "Preoccupa la propaganda e l'uso di slogan laddove servono invece strumenti giuridici per garantire la dignità delle persone. Se invece - ha osservato - si usano strappi per affermare una visione, si rischia di dimenticare la concretezza delle vite umane". Anche se, ha riconosciuto l'arcivescovo, "il tema del riconoscimento dei figli di coppie omosessuali non è sovrapponibile alla pratica della maternità surrogata”, dato che “gran parte di tali pratiche riguardano coppie eterosessuali.
Nel comunicato finale, si legge: "Riconoscere l'Istituto familiare nella sua originalità, unicità e complementarietà significa tutelare, in primo luogo i figli, che mai possono essere considerati un prodotto o l'oggetto di un pur comprensibile desiderio. In tal senso, molte persone ormai, pur con idealità diverse, riconoscono come inaccettabili pratiche che mercificano la donna e il nascituro". Il che suona, come sempre espresso dalla Chiesa italiana, come una condanna senza appello della pratica aberrante dell'utero in affitto.
L'arcivescovo segretario generale ha toccato anche altri temi nel corso della conferenza stampa. Le migrazioni ad esempio. "Siamo disponibili - ha detto - ad allargare spazi per canali legali che permettono di salvaguardare vite e di togliere ossigeno malato ad organizzazioni malavitose". In relazione alle eventuali responsabilità nel naufragio di Cutro, invece, ha osservato: "Non abbiamo strumenti per entrare nel merito. Ci sono due procedimenti in corso in due Procure", che faranno luce. Ma estendendo lo sguardo, il presule Baturi ha ribadito la necessità di affrontare il fenomeno in maniera più ampia. Prima di tutto con una "concertazione a livello Ue, perché si tratta di un fenomeno globale". In secondo luogo non fossilizzarsi solo su politiche incentrate sui restringimenti e sulla tutela dell'ordine pubblico, ma "cogliere il vero problema che è la necessità di salvare vite e promuovere accoglienza e integrazione. E un rapporto lungimirante con i Paesi di origine dei flussi migratori, per dare sostanza a quella che è stata definita la libertà di restare e la libertà di partire.
Non si è parlato, invece, ha detto Baturi, del sinodo tedesco. Nell'esperienza italiana, i temi portati avanti là (approvazione a larghissima maggioranza del testo che apre alle celebrazioni per la benedizione delle coppie omosessuali) "non sono dominanti".
IL TESTO INTEGRALE DEL COMUNICATO FINALE
Per quanto riguarda la tutela dei minori, il segretario generale della Cei ha detto: "A novembre presenteremo il secondo Report nazionale sugli abusi, con i dati sulla totalità delle diocesi italiani”. Inoltre le cinque linee di azioni contenute nel primo Report sono diventate sei grazie al Protocollo firmato ad ottobre con la Pontificia Commissione per la tutela dei minori, e relativo agli interventi per predisporre strutture di tutela dei minori in continenti diversi da quello europeo. Nel frattempo, ha riferito il segretario generale della Cei, c’è stata l’implementazione della rete di tutela dei minori in Italia, attraverso i Servizi diocesani e i Centri di ascolto: “Da novembre ad oggi sono aumentati i Centri di ascolto, mentre già quasi la totalità delle diocesi ha attivato i Centri di tutela per i minori. Siamo ormai vicini a coprire tutto il territorio”. L’altro versante di impegno è quello dell’implementazione delle attività di formazione, ad esempio nei seminari: “Vogliamo formare persone competenti ed esperte, e nello stesso tempo incentivare politiche di repressione o prevenzione”.
Invece, sul fronte delle attività ecclesiali e del cammino sinodale, il Consiglio permanente da un lato ha ribadito l'esortazione alle chiese locali a “recuperare il più in fretta possibile la normalità della vita ecclesiale". Cioè ad abbandonare quando non strettamente necessario le messe in tivù e gli incontri via internet. E dall'altro ha fatto il punto sulla fase dell'ascolto e sul passaggio alla fase successiva di individuazione di strumenti nuovi e di strade percorribili per l'annuncio. Anche facendo leva sulle dinamiche delle minoranze creative. “Le messe in tv sono nate per consentire la preghiera a chi non è in condizioni di andare in chiesa, come i malati, i carcerati, i bambini piccoli o chi deve accudirli”, ha ricordato il segretario generale della Cei: “È stata una grande risorsa durante il Covid, perché ha permesso di rompere la solitudine e di creare comunità, non solo nelle celebrazioni liturgiche, ma anche nella catechesi, consentendo ai bambini di partecipare a tali attività”. “Il problema – ha detto Baturi – è ora recuperare il più in fretta possibile la normalità della vita ecclesiale che non può fare a meno di quella categoria evangelica che si chiama incontro. Gesù incontrava la gente, toccava con le mani il lebbroso, chiedeva acqua da bere alla Samaritana, spalmava il fango sugli occhi del cieco nato. Ognuno di noi deve dare il proprio contributo in termini di partecipazione alla vita ecclesiale”. “La preghiera non è un evento a cui si assiste – ha precisato il segretario della Cei – ma a cui si partecipa nell’integralità della propria persona, che è fatta di gesti, di comunione, di condivisione di un incontro, dell’odore dell’incenso…”. “L’indicazione c’è, ed è stata condivisa da tutti”, ha riferito Baturi a proposito dell’invito di Zuppi: “Verificheremo come ricalibrare le indicazioni nel momento della fine ufficiale della pandemia. È il momento di tornare a pregare insieme”.
Sul cammino sinodale fin qui compiuto, Baturi ha detto che pur con “alcune resistenze interne”, il bilancio "è finora positivo". Prevale in sostanza la volontà di “entrare in dialogo con l’umanità nel suo complesso”. E' necessario, però, "non limitarsi a parlare di mondo, ma ascoltare e far parlare”. E a tal proposito ha citato un dialogo che nel mondo delle carceri ha visto “cantieri” di “iniziative da parte di persone che hanno qualcosa da dire e da fare sulla Chiesa”. La prima fase dedicata all’ascolto ha coinvolto, finora, in Italia circa mezzo milione di persone.