Mauro Maria Marino è tornato per un paio di giorni a Torino, prima di rituffarsi nel tourbillon di audizioni che vedrà sfilare un po’ tutti in commissione banche. Sfilata a cui il vicepresidente Pd dell’organismo bicamerale assisterà quasi rassegnato: «Provo un senso di frustrazione davanti al contrasto fra chi sta cercando di perseguire il raggiungimento dei punti istitutivi della commissione e chi, vivendo nel pre-giudizio di tesi maturate a priori, vuol dimostrare per forza di avere ragione». Marino, che si definisce «un tecnico scrupoloso» più che un politico, confessa di aver raccolto in questi giorni «310 pagine di appunti presi sulle moleskine». E dall’alto di questo archivio personale guarda alle prossime mosse.
Lei era contrario a nuove audizioni.
Mercoledì abbiamo vissuto in ufficio di presidenza momenti intensi... Il fatto è che o ti dai un metodo o vai a sbattere. Noi un metodo ce lo siamo dati a inizio lavori: procedere seguendo la cronologia inversa a partire dagli istituti veneti, i casi più recenti. Il metodo serve perché non dobbiamo dimenticare che nostro scopo è produrre una relazione finale. Ora quel metodo lo si è fatto saltare. Siamo stati travolti dalla po-litica, una visione da campagna elettorale.
Teme un peggioramento del clima?
Dico che abbiamo i poteri della magistratura, ma non dobbiamo sostituirci a essa. Dobbiamo cercare di capire cosa non ha funzionato nel sistema bancario affinché il prossimo Parlamento faccia leggi utili a migliorarlo. Se rimaniamo in questo alveo, facciamo un lavoro utile al Paese. Se andiamo alla ricerca di vendette politiche o regolamenti dei conti, faremo danni.
Veniamo al punto. Sentire Zonin e gli altri ex vertici delle venete non è utile, per capire cosa è successo?
Ero stato io ad aver proposto per primo di audire Zonin, ma in forma secretata e alla fine del percorso sulle venete, quando aveva un senso. Non certo per dare un diritto di tribuna a persone che hanno fatto persino dei trasferimenti di proprietà per non essere aggrediti sui risarcimenti. Non trovai gran seguito, allora, e poi mi convinsi che la questione era superata.
Perché non sentirli come testimonianza?
Perché sono già imputati in un procedimento, sulla carta possono anche mentire. E dire che, col metodo seguito finora, abbiamo già messo a fuoco un paio di temi importanti, e questo da solo vale l’istituzione della commissione. E quali sono? Va riformata la vigilanza, tema che va posto senza scatenarsi però contro Bankitalia o Consob. È emerso nella sua icasticità che occorre trovare un nuovo equilibrio fra la necessità di stabilità e riservatezza di Via Nazionale e quella di trasparenza sui mercati che ha Consob.
Si riferisce alle visioni diverse date dai due organismi?
Non solo. Abbiamo sentito 7 procure che ci hanno detto cose molto diverse. La summa, per così dire, mi porta ad affermare che ha ragione il vicepresidente del Csm, Legnini: servono sezioni specializzate, anche una direzione nazionale per i reati finanziari. Ci sono aspetti così tecnici che, pur se segnalati alle procure, non tutti i magistrati hanno la sensibilità per cogliere la notitia criminis. Abbiamo sentito la procura di Ferrara il 28 novembre e sono rimasto colpito dalla loro analisi puntuale e didascalica. Hanno detto con precisione che c’è un vuoto normativo sugli obblighi di Bankitalia d’informare in maniera sollecita Consob sui dati relativi agli aumenti di capitale. Ad averne di magistrati così.
E il secondo punto?
Gli Npl, i crediti deteriorati. La Ue è stata estremamente ingenerosa con l’Italia, sia sulla tempistica sia sul benchmark della svalutazione dei crediti per le banche in crisi. I regolatori europei hanno inciso sui processi in modo devastante e hanno così prodotto danni gravi, riducendo la capacità contrattuale di istituti già in difficoltà. Sulle 4 banche locali poste in risoluzione a fine 2015 si è partiti da un indice al 13,5%, che Nicastro (l’ex presidente delle 4 good bank, ndr) è riuscito poi a portare al 17,5. Con Mps siamo arrivati al 21%. Il dato è che c’è gente che sugli Npl ha guadagnato non tanto: tantissimo. Questo meriterebbe un’altra commissione d’inchiesta.
In Europa bisogna incidere di più?
Io dico: meno proteste, più proposte e soprattutto più presenza ai tavoli. La direttiva Brrd sul piano politico l’Italia l’ha subita troppo passivamente. Ricordo che nel 2018 c’è la revisione del bail-in, dove bisogna incidere a partire dal tema retroattività che ci consentirebbe di essere più generosi sui rimborsi ai risparmiatori ingannati.
Veniamo ora al punto delicato: l’audizione di Ghizzoni, l’ex ad di Unicredit.
Le rispondo sinteticamente: per me non ha alcuna utilità ai fini di capire i guai finanziari di Banca Etruria, è ininfluente.
A qualcuno interessa però sentire la sua versione sui contatti con Maria Elena Boschi. Non ritiene che il Pd sconti in qualche modo un 'peccato originale' su Etruria, come dimostra l’eccesso di esultanza dopo l’audizione del procuratore aretino Rossi?
Ho un ruolo istituzionale e a quello mi attengo.
Perché non sentire Mario Draghi sulla sua versione dei fatti in Mps, quand’era ancora governatore di Bankitalia?
Nella commissione c’è in genere una dimensione tecnica e una più scandalistica. Quella di Draghi è una sorta di 'terza dimensione', anche perché i funzionari non ci hanno ancora spiegato se può essere sentito, dato che il presidente Bce vanterebbe prerogative simili a un capo di Stato. Io sono contrario e ho avanzato la proposta di ascoltare Danièle Nouy, capo della vigilanza europea, o in alternativa Ignazio Angeloni. Un compromesso che mi pare capace di soddisfare tutte le esigenze.