Un aiuto «umanitario a sostegno delle fasce più deboli» che sarà «completamente separato» dall’operazione di salvataggio delle quattro banche regionali finite in dissesto. Pier Carlo Padoan ha descritto ieri in questi termini il provvedimento in via di preparazione volto a sostenere i piccoli risparmiatori rimasti con un pugno di mosche in mano dopo la ristrutturazione di Banca Marche, Etruria, Cari-Ferrara e CariChieti avviata dal governo. Provvedimento che sta assumendo contorni sempre più delicati per il governo tanto che a sera, al rientro a Roma, Padoan ne ha discusso a Palazzo Chigi direttamente con il premier Matteo Renzi e con il sottosegretario Claudio De Vincenti. L’annuncio del ministro dell’Economia, che parlava a margine del vertice Ecofin a Bruxelles, conferma che le normative europee non consentono un aiuto diretto ai possessori di obbligazioni subordinate e che il governo sta cercando una strada parallela e indiretta per raggiungere un obiettivo analogo. Da gennaio entrano infatti in vigore le nuove regole comunitarie in base alle quali in caso di dissesto di un banca anche azionisti, obbligazionisti non garantiti e, oltre una certa soglia, anche i correntisti, verranno chiamati a pagare un prezzo nel salvataggio. La misura pro-risparmiatori non farà parte quindi «dell’operazione di risoluzione» varata per decreto e poi inserita nella legge di Stabilità. Sarà invece, ha ag- giunto Padoan, un provvedimento «equivalente a un sostegno della povertà». Si punta secondo il ministro a «un’operazione totalmente umanitaria che riconosce che c’è una parte della popolazione che è in situazione di bisogno perché, per ragioni che andrebbero esplorate, si è trovata ad avere fatto scelte sbagliate ». L’intervento non sarà quindi per tutti: i termini «sono ancora da precisare», il ministro dovrebbe illustrarli alla Camera nell’audizione prevista sabato. Se il decreto sulle banche in crisi ha fatto salire la tensione tra Roma e la Ue un altro elemento di possibina le contrasto arriva dalla decisione dell’esecutivo di portare subito dal 2,2 al 2,4% il deficit programmatico del 2016, senza attendere l’ok della Commissione Ue al riconoscimento della clausola di flessibilità sul deficit legata ad «eventi eccezionali», come l’emergenza profughi e quella per la sicurezza. La scelta è legata appunto alla necessità di finanziare le misure per la sicurezza e la cultura (in tutto circa 2 miliardi) già annunciate. Nelle scorse settimane il governo aveva spiegato che le risorse aggiuntive in deficit inizialmente chieste per far fronte all’ondata immigratoria (e che dovevano servire anche ad anticipare di un anno gli sgravi alle imprese) venivano invece destinate al rafforzamento della difesa anti-terrorismo. Ma il quadro programmatico di finanza pubblica non ha ancora ottenuto il via libera della Ue, che considera i conti italiani tuttora a rischio squilibrio e ha rinviato a marzo il giudizio definitivo. Roma ha chiesto a ottobre di attivare tre diverse clausole per rallentare la discesa del deficit: quella per le riforme e quella per gli investimenti, in tutto lo 0,8% del Pil, e un eventuale 0,2% ulteriore per gli «eventi eccezionali». Ora dall’1,4% tendenziale il deficit salirà direttamente al 2,4% del Pil. Sempre che il rallentamento della crescita economica che sembra profilarsi negli ultimi mesi non faccia ulteriormente peggiorare il rapporto. La decisione di Palazzo Chigi di accelerare sull’extra-deficit non è ben vista dal ministero dell’Economia che avrebbe chiesto invece di introdurre una clausola di salvaguardia per i conti pubblici in attesa del confronto con Bruxelles.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Un risparmiatore protesta contro il decreto 'Salva-banche'
(Ansa)