BUSTA NUMERO UNO: SCONFITTARenzi perde Roma e Milano, che prima il centrosinistra amministrava. Oppure Roma, Milano e Torino (è l’ipotesi catalogata come "tragedia" a Palazzo Chigi). O, versione soft, lascia sul campo Roma e Torino. Da qualsiasi angolatura la si prendesse, si parlerebbe senza dubbio alcuno di sconfitta del Pd e del premier. La trama del lunedì è già scritta. La minoranza all’assalto per cambiare l’Italicum, avere subito la legge elettorale dei senatori e far rinascere l’Ulivo. M5S e centrodestra più convinte che unire gli sforzi al referendum costituzionale potrebbe dare la spallata definitiva al governo. I centristi che hanno puntato all’alleanza organica con il Pd in Parlamento andrebbero in crisi. Il percorso di Renzi si farebbe complicato, la direzione dem del 27 giugno diventerebbe una baraonda. Il premier un piano ce l’ha, ed è quello di scaricare tutte le attenzioni sul partito: una nuova segreteria, forse un vicesegretario unico modello "sergente di ferro", il commissariamento di Napoli e di altre province in crisi. «Nel partito serve uno alla Bonaccini», ha ammesso più volte Renzi ricordando con nostalgia il ruolo che l’attuale governatore dell’Emilia Romagna svolgeva nella prima segreteria, quella che costruì il trionfo alle Europee. L’ipotesi più drastica (e dolorosa, dato il suo ruolo indispensabile a Palazzo Chigi) è spostare al Nazareno Luca Lotti. Ma la strategia per affrontare la sconfitta prevede anche un ragionamento di più ampio respiro: la débacle nelle città sarebbe la prova provata che Renzi non è imbattibile, che il Paese è contendibile anche da centrodestra ed M5S. Insomma, l’amaro risultato delle amministrative aiuterebbe il premier a dimostrare che non sono in vista derive autoritarie, e che il referendum costituzionale va affrontato nel merito.
BUSTA NUMERO DUE: PAREGGIOSe il premier-segretario vince con Sala a Milano (e con Fassino a Torino), tirerà - e non nasconderà - un poderoso sospiro di sollievo. Milano è praticamente tutto, per il Pd, in questo turno. E sfangarla vorrebbe dire lasciare le cose intatte. La minoranza non avrebbe più cartucce di quante ne ha avute sinora. La discussione interna si trascinerebbe stancamente, ma senza grossi risvolti pratici. Il premier potrebbe proseguire la sua navigazione con una relativa serenità, archiviando Napoli e Roma (dove a Giachetti basterebbe anche l’onore delle armi) come fatti isolati e locali. L’intervento sulla segreteria del partito ci sarebbe lo stesso, ma senza troppa grancassa mediatica. La campagna referendaria riprenderebbe un corso regolare, depurato da alcune eccedenze verbali. Fermo restando che c’è pareggio e pareggio. Appare scontato che Sala e Parisi se la giocheranno punto a punto. Il Pd non potrebbe però essere soddisfatto se Fassino vincesse per un’incollatura e Giachetti prendesse un’imbarcata. «La vera forza di M5S – ragiona in questi giorni Renzi – si misura a Torino, non a Roma».
BUSTA NUMERO TRE: MIRACOLOMiracolo, nel vocabolario di Renzi, in questi giorni si traduce in Roberto Giachetti. Ci credono in pochi, in realtà. E soprattutto per dovere. Tuttavia, se accadesse per Renzi sarebbe un colpo fenomenale, addirittura in grado di sterilizzare risultati deludenti altrove. In modo particolare, tornerebbero utili al premier i contraccolpi negativi in M5S. La strada verso il referendum costituzionale sarebbe meno tormentata di quanto temuto.