«Non dobbiamo arretrare di fronte alla violenza e al male anche se la tentazione sarebbe forte». Per questo «vi chiedo di continuare a tenere vivo un fuoco di memoria, di preghiera, di speranza, di fede in Dio e nei valori di solidarietà. Una fiamma accesa per noi e per tutti». Bisogna «lottare con coraggio perché la vita sia migliore», contro «le piovre» ma anche contro il «male che è davanti agli occhi di tutti». C’è un gran silenzio nella cattedrale di Genova, mentre il cardinale Angelo Bagnasco pronuncia queste parole. La grande chiesa è stracolma, di gente, di dolore, di memoria e di impegno. Nelle prime file cinquecento familiari delle tante vittime di tutte le mafie. E proprio a loro e a don Luigi Ciotti fondatore di Libera si rivolge il presidente della Cei. «Vi ringrazio io, vi ringraziano i vescovi della Chiesa italiana, vi ringrazia tutta la società civile».Oggi apriranno la lunga marcia per la città in occasione della XVII Giornata della memoria e dell’impegno, in ricordo delle vittime delle mafie, organizzata da Libera e Avviso Pubblico. Un grande momento di testimonianza preceduta in serata dall’intensa veglia di preghiera e di riflessione. Sei giovani salgono all’altare. Portano il lungo elenco delle vittime di tutte le mafie. E alcune candele accese. Sono figli di persone uccise dalla violenza mafiosa. Nati nel 1982 e nel 1992. «Gli anni dei delitti eccellenti e della stragi – spiega don Marcello Cozzi rivolgendosi ai tanti familiari che affollano la Cattedrale –, ma noi vogliamo dire che quando morivano i vostri cari nasceva la speranza». Come quei giovani, come quelle luci che i ragazzi portano “scortando” i nomi dei loro cari. E poi anche il Vangelo, consegnandolo nella mani del cardinale Bagnasco. Comincia la lettura dell’interminabile elenco delle vittime. Tanti nomi, riflessioni e preghiere al «Dio della speranza che asciuga tutte le lacrime». Mentre «non ti può comprendere chi coltiva la morte, non ti può accogliere chi ama la violenza». Le parole del Vangelo, quelle di due grandi uomini di fede come don Tonino Bello, vescovo di Molfetta, e padre David Maria Turoldo. Al termine della lettura un lungo applauso che si ripete quando vengono letti anche i nomi delle vittime delle recenti alluvioni in Liguria.Tanti nomi, dunque, ma don Luigi Ciotti ricorda che «in Sicilia c’è una tomba senza nome perché per la mafia chi collabora con gli “sbirri” non è degno del nome». È la tomba di Rita Atria, ragazza di famiglia mafiosa che decise di collaborare con la giustizia fidandosi di Paolo Borsellino, che “adottò” come secondo padre. Poi, dopo la strage di via D’Amelio, presa dalla disperazione si uccise gettandosi dalla casa romana dove viveva sotto proezione. «Sono sicuro che Dio in quel momento l’ha abbracciata». Ma resta quella tomba senza nome. «Eppure il primo diritto di ciascuna persona è avere il proprio nome. Per questo noi ricordiamo tutti i nomi delle vittime delle mafie e li leggiamo. Per farne memoria e per impegnarci al cambiamento. Perché non possiamo tacere di fronte all’ingiustizia».E certo non tace Silvia, nipote di Eddi Walter Cosina, triestino, uno degli uomini della scorta di Borsellino. «Quest’anno, in occasione del ventesimo anniversario della strage, volevo dire "basta". Poi ho partecipato a un progetto di legalità con le scuole delle quattro province della mia regione. Tanti ragazzi. Volevano parlare, sapere. Bellissimo. Allora ho cambiato idea. A me la mafia non tappa la bocca. Anche voi non dovete farvi tappare la bocca. Tutti i nostri cari saranno vivi finché ricorderemo i loro nomi».Bagnasco, che prende la parola subito dopo, raccoglie il messaggio di Silvia. «Forse siamo un popolo di morti? No, siamo un popolo di viventi», scandisce l’arcivescovo di Genova. «Non abbiate paura, voi siete la testimonianza del coraggio, della forza, della fede, del vivere in un mondo più giusto». Un ruolo fondamentale. Perché, sottolinea il cardinale, nel contrasto all’illegalità «le Forze dell’ordine sono insufficienti senza l’educazione che deve iniziare nelle famiglie, cuore dello Stato, e nella scuola. È la strada giusta che prende il male alla radice e lo trasforma in bene».