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Un percorso comune, di confronto, verifica e condivisione per offrire il miglior supporto a persone con disturbo dello spettro autistico. Lo hanno deciso 14 enti del terzo settore che fanno riferimento alla comune ispirazione cristiana e hanno aderito a un invito dell’Ufficio della pastorale della salute della Cei. Il primo passo è stato la realizzazione di uno studio per fotografare la realtà presente, un’indagine ricognitiva dei centri di ispirazione cattolica italiani specializzati in percorsi diagnostici assistenziali dei bambini e degli adulti con autismo. «È stato importante conoscerci meglio – spiega don Massimo Angelelli, responsabile Cei della Pastorale della salute – all’inizio di questa strada comune.
Alla guida c’è un gruppo di lavoro molto dinamico, con professionisti che, grazie alle loro competenze, possono aiutarci a orientare l’azione pastorale secondo un modello replicabile in tutti i settori della medicina e della salute. Troppo spesso le realtà cattoliche non sono state abituate a fare rete: magari si conoscevano, ma non collaboravano. Eppure è fondamentale per arrivare a risultati importanti».
Nella ricerca si analizzano aspetti tecnici, operativi e gestionali delle 52 sedi che fanno riferimento ai 14 enti coinvolti, distribuite a copertura quasi totale del territorio nazionale: «Ne esce – si legge nello studio – una fotografia rassicurante di quanto si va facendo, ma anche un sollecito richiamo alla necessità di valorizzare il contributo delle piccole realtà territoriali, ancora insufficienti ad accogliere l’enorme richiesta di aiuto da parte delle famiglie».
Nel 2019 il numero di pazienti seguiti dalle strutture coinvolte ha superato le 28.000 unità; le fasce di età più rappresentate sono quelle prescolari e scolari: quasi 14.000 bambini tra 0 e 11 anni, di cui 8.000 in età da scuola primaria (un quinto del totale dei coetanei con autismo censiti nell’anno 2017/2018) sono seguiti dalla rete di enti cattolici. «Nonostante siano molti gli atti di programmazione regionale che prevedono iniziative specifiche per gli utenti con autismo – si legge ancora nello studio – solo il 46% degli enti appartenenti a questo tavolo sono formalmente coinvolti: percentuale veramente molto bassa se si pensa che in questo gruppo sono rappresentati ben 5 Irccs che, proprio per definizione, non possono essere esclusi». Un 'disinteresse' politico e amministrativo «francamente incomprensibile, che conferma la tendenza ad un 'centralismo decisionale' poco utile al Sistema sanitario nazionale».
Il 62% dei servizi censiti si occupa di diagnosi (anche se solo una minima parte di essi lo fa con adeguato riconoscimento) e tutti effettuano le attività applicando protocolli specifici per l’autismo, utilizzando le regole diagnostiche previste dai manuali internazionali. «L’alta qualità clinica offerta – continua la ricerca – è evidenziata dall’utilizzo diffuso degli strumenti riconosciuti come Gold Standard per la diagnosi a livello internazionale, dall’alto utilizzo di strumenti validati e standardizzati, così come dallo sforzo per un inquadramento specialistico delle possibili codiagnosi.
Forte è l’impegno per cercare di migliorare la competenza del personale dei nostri enti attraverso una sistematica attività di formazione interna ed esterna specifica per l’autismo». L’analisi ha fatto emergere la capacità di accompagnare la persona globalmente nel percorso di sostegno e l’alta qualità degli interventi, ma anche una diversità di approccio portata avanti dalle diverse strutture: «Lavoreremo insieme – conclude don Angelelli – per trovare le risposte migliori, coordinarci e condividerle. È giusto che ci sia uno sguardo attento sulla gestione economica perché i conti devono tornare, ma non sono realtà governate dalla logica del bilancio. Il bilancio è solo uno strumento: in primo piano c’è sempre la persona».