lunedì 17 dicembre 2012
COMMENTA E CONDIVIDI
​Nella violenza e nella crudeltà della guerra può capitare che piccole scintille di bene riescano ad illuminare la lunga notte del male assoluto. Gesti apparentemente piccoli, trascurabili ma che bastano a spezzare la pesante, assurda cappa dell’ingiustizia e della sofferenza. È capitato anche durante la Seconda guerra mondiale a un bambino di sei anni che, per un atroce scherzo del destino, si è trovato su un campo di battaglia, proprio durante uno scontro a fuoco tra truppe alleate e tedesche. Avrebbe potuto rischiare di rimanere annientato, invece due angeli con il volto di soldati canadesi l’hanno tratto in salvo. La sua vita in quell’istante è ricominciata.  Certo, per quasi settant’anni gli sono mancati tasselli fondamentali: l’identità dei genitori, la data di nascita, i luoghi dell’infanzia. Tutto bruscamente e prematuramente spazzato via dalla crudeltà della guerra. Con tanti anelli mancanti verrebbe da pensare che sia quasi impossibile riuscire a rintracciare le proprie origini dopo tanto tempo. Eppure è proprio quello che è accaduto a Gino Farnetti, 74 anni, già meccanico della Enichem, attualmente residente a Manfredonia, nel Foggiano, che oggi tornerà a Torrice, nel Frusinate, per una cerimonia importante, che festeggia un lieto fine.Le ricerche sulle proprie origini hanno avuto esito positivo e gli hanno permesso di ritrovare il proprio nel paese della Ciociaria. La storia, quasi incredibile, ha inizio ai primi di giugno del 1944, quando Gino ha all’incirca sei anni. La sua famiglia vive, come tante, i difficili giorni della guerra. Lui, quel giorno, vagabonda nei campi, ignaro che a pochissima distanza, i canadesi alla Quinta Divisione Corazzata sono impegnati in un difficile battaglia con i tedeschi in ritirata. Certamente il bambino sente il frastuono dei cannoni ma quel rumore è purtroppo ormai familiare e non lo preoccupa. Difficile immaginare cosa sarebbe capitato al piccolo Gino se non avesse incontrato due soldati canadesi, Paul Hagen e "Red" Oliver Lloyd, impegnati nei rifornimenti alle truppe di riserva dopo il duro  combattimento contro le forze del Reich, schierate da Pontecorvo a Frosinone. Del bambino, visibilmente provato e confuso, i canadesi riescono a sapere solo il nome, Gino, e il cognome, malamente interpretato che, come si saprà poi, è Bragaglia. Ma dei familiari nessuna traccia, nonostante le ricerche nei luoghi del ritrovamento. A questo punto Hagen e Lloyd diventano due veri e propri "angeli custodi" per il piccolo Gino: decidono di prenderlo con loro, lo accudiscono, lo vestono e lo sfamano. Addirittura ne fanno una simpatica mascotte. Intanto la linea del fronte si sposta e il piccolo segue i nuovi amici canadesi nell’avanzata verso il Nord, fino a Ravenna dove, nel ’45, viene affidato ad una giovane coppia di partigiani, visto che il Corpo di spedizione canadese viene dirottato in Francia. A guerra finita, Gino viene adottato ufficialmente dalla famiglia, assume il cognome del padre, Farnetti, e compie gli studi. Lavora, anche all’estero, per stabilirsi poi definitivamente a Manfredonia, dove forma una famiglia. In tutti questi anni rimane però in contatto con chi gli ha salvato la vita e riaperto la strada del futuro. Si reca anche in Canada per riabbracciare i veterani Paul Hagen e Oliver Lloyd, che riaccendono in lui il desiderio di rimettere insieme il filo della memoria e ricostruire quei tasselli mancanti delle sue origini, decisivi per tracciare la sua vera identità. Da qui inizia una ricerca che, dopo lunghi anni, approda pochi mesi fa a esiti insperati. Gino contatta l’amica Mariangela Rondinelli, responsabile di un’Associazione culturale di Bagnacavallo, in provincia di Ravenna, che per anni studia la vicenda e riesce a risalire alle origini ciociare di Farnetti. È lei a mettere in moto la solidarietà di alcuni ricercatori e studiosi del frusinate: Costantino Jadecola, Angelo D’Agostini, Paolo Sbarbada, Gianni Blasi e Maurizio Federico. Si arriva a scoprire che "Ginus" Bragaglia, nato il 26 aprile 1938, è stato battezzato nella parrocchia di San Pietro Apostolo in Torrice il 1° maggio successivo e che, come risulta dall’archivio dell’anagrafe dello stesso Comune, è figlio di Giuseppe e Filomena Fiacco, entrambi da tempo deceduti. Si rintracciano poi il luogo in cui è nato e cinque nipoti, figli di Domenico, il fratello maggiore di Gino morto nel ’95. L’ottobre scorso, 68 anni dopo, Gino è tornato a riabbracciare i familiari e, per la prima volta, ha fatto visita alla tomba dei genitori nel cimitero del paese natale. Quello stesso paese che oggi rende omaggio alla sua storia e, soprattutto, al gesto d’amore di quei soldati canadesi che, nella crudeltà della guerra, con un atto gratuito e sponteano di umanità aprirono alla speranza la vita minacciata di un bambino in preda alla paura. Una vicenda da non dimenticare. Ieri mattina il protagonista, con grande commozione, ha avuto l’opportunità di raccontarla agli studenti delle scuole medie di Torrice, perché il futuro metta radici sulla memoria di chi ha sofferto per la libertà.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: