E' una dinamica inversamente
proporzionale al numero di Paesi aderenti all'Ue quella che
caratterizza l'affluenza alle urne per l'Europarlamento negli
anni. Nel 1979, quando l'Ue si chiamava ancora Comunità
economica europea (Cee) ed aveva solo nove Stati membri, la
media degli elettori era stata del 61,99%, con l'Italia che
aveva fatto registrare l'affluenza maggiore (85,6%) dopo Belgio
e Lussemburgo, dove il voto è obbligatorio.
Da allora, col graduale allargamento dell'Unione, l'asticella
degli aventi diritto che rispondevano alla chiamata alle urne è
andata man mano scendendo. Nel 1984, con l'aggiunta della
Grecia, l'affluenza media si era attestata al 58,98% (l'82,47%
in Italia). Nel 1989, dopo l'ingresso di Spagna e Portogallo, la
media europea aveva segnato il 58,41% e nel '94, con dodici
Stati membri, la media era stata del 56,67%.
Ma la vera prima grande flessione si era registrata nel 1999,
con l'Europa a quindici (Austria, Svezia e Finlandia ne erano
entrate a far parte nel 1995) quando la media era scesa al
49,51%. In questa occasione i britannici avevano conquistato il
primato del maggior astensionismo, al 24%, mentre l'Italia si
era attestata al 69,76%. È poi del 2004, con l'Ue a 25 (con
l'ingresso di Polonia, Ungheria, Slovenia, Slovacchia,
Repubblica Ceca, Estonia, Lituania, Lettonia, Cipro e Malta),
l'ulteriore flessione al 45,47%, con l'Italia al 71,72%.
Alle ultime consultazioni, nel 2009, con l'Ue a 27
(allargamento a Romania e Bulgaria), la media si è attestata al
43%. Nella Repubblica Ceca i votanti sono stati solo il 28,2%,
in Gran Bretagna il 34,7% e in Portogallo il 36,78%. In questo
caso la risposta dell'Italia era stata del 65,05%.
Fra i Paesi che si sono progressivamente aggiunti, gli unici
ad aver sempre alzato la media sono stati Cipro e Malta. Il
peggior risultato mai registrato è stato invece quello della
Slovacchia nel 2004, quando votò solo il 16,97% degli aventi
diritto.