Non c’era incontro pubblico al quale Giovanni Bianchi non si presentasse con una cartella fitta di appunti, citazioni, ritagli di giornali. Indagare la realtà, cercando il legame invisibile tra un fatto e l’altro, era il suo modo di pensare, di scrivere e, in definitiva, di essere cristiano: nello stile del Concilio, si potrebbe dire, ma si tratterebbe di una semplificazione eccessiva.
Bianchi era nato a Sesto San Giovanni, alle porte di Milano, il 19 agosto del 1939, e a Sesto è morto ieri, a 78 anni non ancora compiuti, al termine di una malattia tanto breve quanto implacabile. Per molti rimaneva “il presidente”, nonostante fosse ormai lontana l’epoca dei suoi incarichi più impegnativi. Nel decennio compreso tra il 1987 e il 1996 Bianchi si era trovato a presiedere prima le Acli e poi, a partire dal 1994, il neonato Partito popolare italiano (Ppi). Anni decisivi, nei quali la visione politica ed ecclesiale del cattolicesimo democratico viene messa a dura prova, in un contesto che sollecita ancora di più l’impegno di Bianchi e di quanti, per motivi generazionali e ideali, condividono le sue posizioni.
Ma quella politica è solo una delle molte componenti che si intrecciano nella sua biografia. La più evidente fino all’ultimo, certo, fino ai numerosi interventi con cui, anche in questi mesi, Bianchi ha continuato ad argomentare la sua insoddisfazione verso tendenze giudicate altrimenti ineluttabili come l’efficientismo, la personalizzazione, la sostanziale resa allo status quo della globalizzazione finanziaria.
A ragionare in termini di complessità Bianchi impara molto presto, come dimostra nei primi anni Sessanta la scelta di laurearsi in Scienze politiche alla Cattolica di Milano con una tesi sui Paesi asiatici e africani che allora sono appena usciti dalla condizione coloniale. Da subito Bianchi scrive, e scrive molto. Non solo per i giornali (per qualche tempo collabora anche all’Avvenire d’Italia, il quotidiano cattolico di Milano all’epoca diretto da uno dei suoi maestri, Giuseppe Lazzati), ma anche in una prospettiva di invenzione e ricerca letteraria destinata a conservarsi intatta a dispetto di un’attività politica sempre più intensa.
Lasciato nel 1969 l’incarico di consigliere comunale per la Democrazia cristiana a Sesto San Giovanni, Bianchi concentra la propria attenzione sulle questioni sindacali, in una prospettiva di centralità e dignità del lavoro che non è difficile riconoscere anche nei suoi interventi più recenti. La rete dei riferimenti culturali si amplia e si consolida attraverso il confronto con alcune delle personalità più significative del cattolicesimo postconciliare, da don Giuseppe Dossetti a padre David Maria Turoldo, dal teologo domenicano Marie-Dominique Chenu al cardinale Carlo Maria Martini, con un rimando continuo fra istanze sociali e teologia, fra ricerca del bello ed esigenza di giustizia. Sintesi ambiziosa, che proprio nelle Acli sembra trovare un terreno propizio e che, nel frattempo, si riverbera nella ricchissima bibliografia di Bianchi, all’interno della quale ritroviamo saggi acuti e preveggenti come Dio in pubblico (1978), Luigi Sturzo e la tradizione cattolico-popolare (1984), Simone Weil e la condizione operaia (1985), Al Dio feriale (1990), Nell’attesa (2000), Nel paese degli atei devoti (2002), Martini politico e la laicità dei cristiani (2007), Dossetti rimosso (con Giuseppe Trotta, 2016) e numerosi altri. Emblematico, tra tutti, Dalla parte di Marta, quasi un manifesto “per una teologia del lavoro” pubblicato da Morcelliana nel 1986, nel quale la tradizionale interpretazione dell’episodio evangelico di Marta e Maria viene risolto mediante il superamento della meccanica contrapposizione tra vita attiva e vita contemplativa.
Il decennio 1987-1996 è, come ricordato, il più vivace e combattivo nella vicenda di Bianchi. In gioco, nel 1995, c’è la collocazione politica del Ppi, che sotto la sua presidenza opta con decisione per il centrosinistra, anche a costo della scissione dell’ala del partito che fa capo a Rocco Buttiglione e che decide, invece, di allearsi con Forza Italia. Fautore del progetto della Margherita, Bianchi siede in Parlamento fino al 2006, scegliendo da lì in poi di dedicarsi a una serie di iniziative tra le quali spicca l’Associazione nazionale Partigiani cristiani (Anpc), di cui assume la presidenza nel 2012. L’ultimo suo libro, edito da Jaca Book in aprile, si intitola Resistenza senza fucile ed è un ripensamento critico condotto con il piglio del narratore e con la finezza dell’intellettuale. A partire dall’interrogativo sull’eventuale consistenza del “patriottismo costituzionale” italiano, nel quale sembra riassumersi tutta la passione e tutta l’intelligenza del cristiano Bianchi.