È l’ultimo baluardo della F1 degli anni d’oro. Una scuderia che esattamente da 40 anni porta il proprio nome e si confronta con i colossi dell’auto. Frank Williams è un’icona dei motori, una specie di ultimo cavaliere che scende in pista e nonostante le difficoltà di una vita su una sedia a rotelle, residuo di un terribile incidente stradale nel 1986 (la sua auto si ribaltò sulla Costa Azzurra di ritorno dal circuito di Le Castellet), è sempre lì a combattere sia tra le pieghe dei regolamenti, sia che si tratti di affrontare la vita a testa alta e con orgoglio. Un’esperienza unica nella Formula 1: quasi un Drake dell’automobilismo inglese: sette mondiali piloti con 7 diversi fuoriclasse. Da Alan Jones nell’80 a Piquet, da Mansell a Prost all’ultimo titolo con Jacques Villeneuve nel 97. Altri nove mondiali costruttori. Il 2009 della F1 sarà ricordato per il lunghissimo tira e molla tra i costruttori e la Federazione se continuare tutti insieme sotto la stessa bandiera o varare un Mondiale alternativo. Una scissione scongiurata soltanto in extremis. «Credo che la gente si sia stufata di questa storia, ma siamo tutti uomini e per giunta con una mentalità competitiva; per cui non mi stupisce se si è finiti in una situazione del genere - commenta Williams - . C’è lotta tra di noi, e tra la FIA e i costruttori per il controllo delle regole. Noi siamo stati favorevoli alla proposta del presidente Mosley di ridurre i costi del 20%: altri costruttori hanno idee diverse, ma finalmente siamo giunti a una soluzione che ha fatto tutti contenti con la firma del patto della Concordia fino al 2012».
Nessuno contesta la riduzione delle spese. Il problema sta nel metodo usato da Mosley, che essendo persona colta e intelligente forse ha usato il modo sbagliato? «Non sono d’accordo con questa osservazione. La FIA aveva proposto una cosa, i costruttori (guidati dalla Ferrari, ndr) un’altra e fin qui è normale. Ma Mosley è stato spinto dalla paura dei costi sempre più elevati. Ha pensato che sarebbero rimaste tre o quattro squadre al massimo e in più la Williams: non poteva permetterselo. Poi alla fine tutto si è aggiustato».
Parliamo di riduzione dei costi. L’uso del Kers, il motore elettrico che rilascia energia cinetica supplementare ha dato più problemi che vantaggi: è costato tantissimo e non serve, visto che le Williams vanno bene anche senza... «Non è vero che sia stato un costo maggiore. Il Kers era un sistema interessante di sviluppo anche per le auto di tutti i giorni; forse sarebbe stato meglio portare avanti le sperimentazioni perché era una soluzione facilmente trasportabile dalla F1 alla strada, invece è stata lasciata a sé».
Sarà, ma le discussioni sui costi, le squadre che correranno o meno, alla gente interessa poco: interessa di più sapere quale pilota andrà in quale squadra... «Da quello che so l’anno prossimo avremo di sicuro 20 macchine al via, forse saranno 26, ma venti dovranno esserci di sicuro (che Williams sappia di altri clamorosi ritiri? ndr) e una volta risolto questo punto, il mercato piloti diventa una conseguenza logica. Sono in questo mondo da 40 anni e posso dirvi che non è cambiato niente, né per interesse, né per i vari movimenti sportivi e politici».
Tra Max Mosley e Ari Vatanen (ex campione del mondo dei rally) chi potrebbe essere il miglior presidente della FIA? «Max è sempre stato molto intelligente, conosce superbamente le regole e gli statuti, ha lavorato benissimo. Vatanen se diventa presidente dovrà imparare molto».
E Jean Todt come presidente? Lei come lo vede? «No comment. Ha controllato la Ferrari per 15 o 16 anni: impossibile che sia del tutto imparziale».
Parliamo di piloti, se potesse prenderne due di suo gradimento, su chi cadrebbe la scelta? «Dipende da cosa vogliamo fare. Se dobbiamo rispettare dei budget rigorosi o se ci sono pressioni degli sponsor; ovvero se ci serve un campione e un giovane da seguire per farlo crescere e ottenere i risultati. L’unica squadra che oggi ha fatto questo è la Brawn con Jenson Button. Ma se potessi scegliere io liberamente, direi che ammiro enormemente Raikkonen e Alonso: non in ordine di velocità e importanza, sia chiaro. Alonso somiglia in maniera incredibile a Nigel Mansell: è un pilota che trasmette nell’abitacolo la sua energia, la puoi sentire e vedere. Si vede che dà tutto stesso durante le gare: questo mi piace tantissimo».
Se le piacciono i piloti di cuore, Raikkonen non entra nella lista visto che è uno freddo e distaccato… «Non ho detto che mi piacciono solo i piloti di cuore. Raikkonen, ad esempio, ha una grande capacità nel controllo dell’auto ed è velocissimo: forse nessuno è uguale a lui in quanto a velocità».
Cosa pensa del ritorno al volante di Michael Schumacher? «Mi sembra una cosa davvero interessante: per quanto mi riguarda gli dò sinceramente il bentornato in un mondo dove lui ha dato dato e dove sono convinto potrà dare ancora molto».
Cosa spinge, invece, Frank Williams ad accettare tutte le mattine la sfida della F.1? Il suono di un motore? I soldi che si possono guadagnare? «Amo la F1, è il mio lavoro. E al tempo stesso una passione: vivere le proprie passioni, facendole diventare un lavoro, è un vero privilegio. Posso dire che una squadra come la mia, che è una piccola realtà in confronto ai colossi dell’auto, deve affrontare rischi finanziari pazzeschi che una compagnia normale non penserebbe mai di fare. Questo ti tiene sveglio e ti fa pensare molto».
Il momento più brutto della sua esperienza di team manager: il dramma in pista di Ayrton Senna nel ’94 o quando agli inizi, nel 1970, morì il suo primo pilota, Piers Courage? «Avevo la stessa età di Piers, eravamo cresciuti insieme, eravamo amici. Ero più giovane ed è stato uno choc terribile, che poi ho rivissuto con Senna. Il processo per la morte di Ayrton? Era giusto aprire una indagine per conoscere tutti i dettagli di quella tragedia. La sfortuna ha voluto che ci fossi io al posto dell’indagato...».
Frank Williams e la fede: un valore che lei ha sempre dichiarato importante. «Sì, sono cattolico, anche se ammetto di essere molto indolente: le domeniche necessariamente le passo in pista a seguire le corse o in officina a lavorare. Mi auguro solo una cosa: nel momento in cui arriverà il mio ultimo giorno, il mio ultimo respiro, mi auguro che ci sia vicino un sacerdote e una chiesa per confessarmi ed essere assolto di tutti i miei peccati».