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Il nuovo numero di 'Vita e Pensiero', il bimestrale culturale dell’Università Cattolica in uscita giovedì oggi, propone come editoriale un’analisi di Bruno Latour su 'Mutamento ecologico e cosmologia cristiana'. Spazio poi, tra gli altri temi, al centenario della Cattolica, alla Chiesa nel Mediterraneo, al futuro dell’auto, alla Chiesa e le donne; per la sezione 'La Questione' Uberto Motta riflette sul valore della traduzione da san Girolamo a Steiner, Ferrucio Parazzoli sul perché dello scrivere e Maurizio Cecchetti sulla polemica tra Havel a Kundera. Nella sezione 'Spiritualità' la riflessione della scrittrice ed eremita di città Antonella Lumini che anticipiamo in questa pagina.
La brusca battuta d’arresto data dalla pandemia diviene segno evidente dell’urgenza di cambiamento che investe il mondo occidentale. Segno forse ancora poco percepito, visto il bisogno ostentato da molti di riprendere al più presto il ritmo di prima. Certamente la crisi ha messo in discussione l’idea di autosufficienza, l’illusione di avere il controllo sulla vita. Ha reso più drammatica la differenza fra Paesi ricchi e poveri, senza tuttavia riuscire minimamente a scalfire la logica perversa della globalizzazione, del consumismo e dello scarto. Allo stesso tempo, in alcuni ambiti, ha promosso solidarietà e fatto crescere un diffuso senso di abnegazione. Da molte parti si leva un sincero desiderio di ricominciare in modo migliore, di aprirsi a nuove possibilità. La Chiesa è chiaramente chiamata a mettersi in gioco, ed è evidente che quanto sta dicendo e promuovendo il Papa si inserisce nel solco di quell’azione di smascheramento e liberazione che opera lo Spirito. C’è una battaglia sotterranea che sta emergendo in superficie. Più lo spirito del mondo si accanisce, più la luce dello Spirito Santo avanza. Tante persone da anni intraprendono cammini interiori. Sono chiamate al silenzio, alla solitudine, desiderano fermarsi, svincolarsi dall’andamento frenetico del mondo, tornare alla natura. Dove più grande è il disagio, più si attivano le potenzialità spirituali. Il bene, come il sole, non combatte, sorge. Sono le tenebre che combattono perché si sentono minacciate dalla luce. Il bene è atto creativo, Verbo. Amore in atto. Dipenderà dalle coscienze far sì che la svolta auspicata prenda il giusto orientamento, divenga forza di trasformazione, promuova azioni creatrici. Dal punto di vista delle coscienze, quello che stiamo vivendo possiamo considerarlo un tempo propizio. Due sono le possibilità: cercare di recuperare a ogni costo l’andamento di prima riaffermandolo attraverso i vari fondamentalismi, oppure aprirsi al nuovo ancora in gestazione che chiede di pazientare per poter emergere. È fortemente interpellata la fede, non solo quella di credenti e osservanti, ma anche quella fede laica dei cosiddetti non credenti che però credono nella vita, nella giustizia, operano per la salvaguardia del Creato, sono pacifisti, amano la natura, la bellezza, l’arte, eccetera. Credere o non credere è spesso un fatto ideologico alimentato in parte anche dalla marcata distanza che separa la prospettiva scientifica dalla prospettiva teologica, ancora troppo statica e dogmatica, attraverso cui la Chiesa continua a proporre la trasmissione della fede. Non si tratta di rivendicare le radici cristiane in favore di certe spinte ideologiche volte a conservare una visione della realtà che si sta frantumando, si tratta al contrario di riconoscere come la civiltà occidentale sia cristiana nel suo ambito religioso come in quello laico per i principi che ha elaborato, ma sia altrettanto scristianizzata nella prassi. Visione teologica e visione filosofico- scientifica per secoli sono andate di pari passo. Oggi siamo di fronte a un pericoloso disallineamento. L’uso incontrollato della tecnologia, sempre più asservita all’aggressività del potere economico, e l’acuirsi del conflitto fra ragione e fede, fino quasi a dar luogo a due fideismi contrapposti, hanno permesso l’affermarsi di uno sviluppo tecnologico svincolato dalle coscienze. Forse va ricercata in questo la causa inconscia della paura alla base dell’attuale disagio sociale. La luce della resurrezione in atto, ossia il processo evolutivo dell’umanità che spinge a incarnare lo Spirito di Cristo attraverso autentici percorsi di trasformazione, procede parallelamente a pericolose derive distruttive dovute all’uso spregiudicato e manipolatorio della tecnologia e dell’energia. Da parte dei credenti serve una risposta matura, che s’interroghi, che prenda a cuore il peso della storia e si faccia umilmente carico della testimonianza. È urgente una teologia che abbia il coraggio di rimodularsi includendo la prospettiva che scaturisce dalle più recenti scoperte dell’universo, della meccanica quantistica, i cui punti cardine sono la continuità dell’energia a tutti i livelli e il principio di interconnessione. Ne deriva la percezione di una realtà in continuo movimento e trasformazione. Niente può più considerarsi statico, immobile, gerarchico. Questo passaggio e sempre più necessario al fine di riportare a convergere scienza e fede, tecnologia e coscienza, ma anche di impedire che l’annuncio perda forza e autorevolezza. Del resto, l’impianto biblico, a partire dal concetto di creazione, afferma la continuità fra Dio e cosmo. C’è continuità di vita, non separazione fra realtà divina e realtà sensibile. La concezione di Dio come sorgente creatrice è estremamente moderna. La mistica ebraica parla di differenti mondi che vanno dall’emanazione pura fino alla realtà umana, tutti interconnessi e correlati, in cui le energie fluiscono in continuità. Nella Bibbia non si pone divisione fra materia e spirito, corpo e anima. Il Dio unico presuppone la percezione di un cosmo governato da un centro ordinatore datore di vita in cui tutto è correlato e interconnesso. La creazione è manifestazione visibile del Dio invisibile. Pertanto diviene essenziale mettere in luce come la nominazione che Gesù fa di se stesso, come figlio di Dio, vada a inserirsi in questa prospettiva di continuità sostanziale tra divino e umano. Nel Credo nicenocostantinopolitano si afferma infatti: «Della stessa sostanza del Padre». Gesù, dal momento che assume per se stesso il titolo di figlio di Dio, lo estende a ogni essere umano come attesta la preghiera del Padre nostro. È tempo di cristianesimo incarnato, urge che il dire corrisponda al fare, l’apparire all’essere. Non serve la forzatura operata dal dover essere, ma l’abbandono che, purificando, realizzi l’affermazione paolina: «Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me» (Gal 2,20). Del resto, l’evento dell’incarnazione costituisce la vera e assolutamente sorprendente novità evangelica: il divino si incarna nell’umano. La via mistica richiede radicamento nel cuore dove la presenza di Gesù è sempre viva. Richiede centratura nel profondo dove la fiamma dello Spirito rimane sempre accesa. Riconduce alle origini, alla preghiera esicastica. Silenzio, solitudine, imposti dalla pandemia, divengono un’opportunità, segni del cambiamento in atto. L’immagine della Chiesa in uscita va in questa direzione. È in atto una sorprendente convergenza fra vertice e periferia che trasforma la piramide in centratura. «Venne Gesù, stette in mezzo» (Gv 20,19-31). Cristo non sta al vertice, costituisce il centro. L’universo non si poggia su strutture gerarchiche, bensì sulla connessione e interrelazione di sistemi centrati. Cristo è il centro di un sistema aperto, irradiante, in espansione, non il vertice di un sistema chiuso. La Chiesa in uscita porta l’immagine della centratura. Ciò che fa l’unità è la centratura in Cristo, solo questo rende possibili apertura e universale espansione. Un cristianesimo incarnato chiede che il credente stesso divenga sacramento. Il più grande miracolo non e la trasformazione del pane e del vino in corpo e sangue di Gesù, ma viceversa, la trasformazione del corpo e sangue del Vivente in pane e vino, in poveri elementi attraverso i quali l’amore puro conforma a sé coloro che si aprono a riceverlo. Offrire se stessi, donarsi in nutrimento con rendimento di grazia, è il paradosso cristiano che capovolge ogni logica umana. Il mistero eucaristico chiede di essere incarnato. Morire a se stessi, al proprio ego, è l’unica via per vivere relazioni di amicizia e di amore. Solo l’intima comunione con Cristo rende possibile la comunione fra esseri umani.